Moneta unica, la trappola del fiscal compact e l’evidente frode dell’euro
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Europa: Impossibilità’ Di Attuare Politiche Sociali Nell’Area Euro

Lavorare meno, lavorare tutti: possibile in Europa?

Nell’Europa delle nazioni pre-euro tra le sinistre era in voga lo slogan “Lavorare meno lavorare tutti“, ovviamente a parità di stipendio.

Aveva senso allora? Avrebbe senso oggi? Ma soprattutto sono ancora possibili politiche sociali anche minimali ?

Esiste un elemento di fondo che a volte sfugge completamente al comune cittadino e che manca del tutto, cosa purtroppo assai più grave, nel dibattito sui programmi politici di governo: la interconnessione delle scelte, le loro conseguenze, le risorse con cui finanziarle e, soprattutto, la compatibilità con il contesto vincolante dell’area Euro.

Il meccanismo della inflazione

L’idea proposta risale a 40 anni fa, “lavorare meno, lavorare tutti” , nonostante appaia una utopia, questa allettante vecchia proposta politica,aveva una sua valenza oggettiva e spiego perché’.

In un sistema chiuso e protetto dallo Stato e da una moneta propria, lo stato può permettersi di legiferare aumentando, di fatto, il costo del lavoro a carico del datore di lavoro che pagherebbe, con tale politica, uno stipendio uguale per ore di lavoro in meno e, di conseguenza viene costretto a  pagare altri laboratori che coprano quelle ore .

L’aumento del costo del lavoro finisce, così, per scaricarsi interamente sul costo del prodotto.

Le politiche protezionistiche

Tale naturale effetto, potrebbe essere compensato da politiche protezionistiche attuate tassando I beni esteri più di quelli interni e compensando, cosi’, l’aumento del prezzo dei beni prodotti.

Ciò, però, se consente il salvataggio delle imprese nazionali consentirebbe loro di scaricare sui cittadini, l’aumento del costo attraverso il prezzo aumentato dei beni. Il cittadino, peraltro, non avrebbe possibilità di comprare beni esteri a più basso costo stante le politiche protezionistiche che, attraverso la leva della tassazione, generano un necessario aumento dei beni di importazione.

Ovviamente appena questo effetto, che in economia si chiama “inflazione“, si manifesta sul mercato interno, impoverisce automaticamente il valore reale degli stipendi.

Al contempo sui mercati esteri, la merce prodotta avrebbe un costo maggiore e di conseguenza questo ridurrebbe le esportazioni.

Senza un intervento sulla moneta le politiche protezionistiche finiscono per aumentare l’inflazione, impoverire i salariati e, alla lunga, portare ad una riduzione anche del mercato interno e quindi ad un fallimento delle imprese

Un mercato interno protetto statalmente, oltre che impoverire sostanzialmente solo gli stipendiati e non le imprese (che continuano a vendere su un mercato interno almeno inizialmente), spinge alla riduzione della competitività e  della qualità del prodotto, ma soprattutto frena lo sviluppo tecnologico.

Possiamo ricordare in tal senso, l’abisso che separava I prodotti tecnologici russi alla caduta della URSS rimasti indietro di almeno 20 anni, basta osservare la tipologia dei veicoli in circolazione nei paesi che ancora mantengono regimi protezionistici e chiusi, per rendersi conto degli effetti deleteri sul progresso che queste politiche generano.

La soluzione Italiana degli anni 70 e 80: politiche protezionistiche + politica monetaria

In paesi come l’Italia degli anni 70 e 80, l’aumento dei salari, agganciato alla inflazione (indicizzazione), produceva alla lunga una svalutazione (riduzione del valore della moneta nazionale al cambio con quelle estere) costante del valore della moneta (serpente monetario) necessaria per riequilibrare il sistema e svalutava, di fatto, gli stipendi appena aumentati, attraverso una riduzione del valore della moneta in cui erano pagati, il tutto per favorendo la esportazione delle merci.

Di fatto questo determinò alla lunga, per l’Italia di oltre 40 anni fa, una inflazione a due cifre, ma al contempo diede origine ad una sempre più spinta ed aggressiva esportazione generata  dal costo ridotto di merci pagate in moneta di basso valore.

Al contempo la ricchezza industriale consentiva l’aggiornamento tecnologico e qualitativo delle merci producendo competitività anche qualitativa.

Ovviamente questo richiedeva una costante e congiunta direzione delle politiche economiche e governative di concerto con quelle monetarie. Di fatto questo richiedeva il controllo governativo della Banca Centrale.

Il Sistema Italia pre Euro: una macchina nata per generare lavoro e crescita economica

Il surplus monetario (differenza tra ricchezza importata attraverso la vendita all’estero di beni prodotti in Italia e la fuoriuscita di ricchezza con l’acquisto in Italia di beni prodotti all’estero) della Italia di 40 anni fa aveva messo in seria difficoltà economie europee come quella tedesca e francese, che non erano in grado di assicurare la medesima efficienza autoalimentante del sistema industriale e sociopolitico italiano, in grado di assicurare al contempo, garanzia sociali ed economia forte paradossalmente grazie ad una moneta debole e ad un sistema protezionistico.

Ovviamente nella Italia di allora, l’aumento delle esportazioni compensava la riduzione delle vendite sul mercato interno e limitava, almeno in parte, la spirale dell’aumento dei prezzi.

Dal punto di vista generale possiamo affermare che, giocando sul tempo che il sistema impiega per tornare in equilibrio, tra l’aumento dei salari, il conseguente aumento dei prezzi delle merci prodotti e quindi della  inflazione ed, infine, la derivante svalutazione della moneta, si poteva avere un periodo temporaneo di maggiore ricchezza dei lavoratori dipendenti, che non corrispondeva ad un impoverimento delle imprese.

Ai dipendenti, quindi,  si potevano chiedere più tasse ,garantendo, così, servizi per tutti e compensando e chiudendo un occhio sulla evasione fiscale delle imprese.

Esse, ufficialmente, pagavano enormi  tasse ma, come capita ancora oggi, evadevano abbondantemente, a differenza del.dipendente che, tassato alla fonte proprio attraverso chi evade (il datore di lavoro), non può e non poteva evadere.

I meccanismi di gestione dell’Euro rendono impossibile politiche autonome di sostegno sociale

Tutto questo oggi non e’ più’ possibile con l’euro e la politica liberista imposta dalle regole comunitarie, come scotto da pagare per restare in questa area e con il vincolo, di fatto, a privatizzare la Banche d’Italia mettendola in mano al sistema delle banche private

L’Europa,  infatti, si e’ imposta le semplici regole del controllo di bilancio, aggiungendo ad esse la follia della misura del disavanzo di bilancio (rapporto tra entrate ed uscite) fissato entro i limiti di un numero che é il rapporto tra il deficit pubblico  (ovvero debito che si compensa con minore spesa o aumento delle tasse) e ricchezza interna (che diminuisce con l’aumento delle tasse e la disoccupazione).

In ogni caso la politica del “lavorare meno lavorare tutti” non e’ più possibile poiché manca la leva del controllo allo Stato esercitata attraverso:

  • il controllo della emissione della moneta,
  • la leva della svalutazione,
  • la leva della chiusura del mercato con tassazione delle merci estere (impossibile nel sistema a moneta unica comunitario)
  • e la possibilità’ di favorire le esportazioni con la leva svalutativa (impossibile se la moneta e’ unica).

Quindi, qualunque sia il “colore” di un governo, il sistema di controllo monetario dell’euro e le regole di adesione stringenti che siamo stati costretti a firmare per restarvi, come il Fiscal Compact, determinano un unico tipo di politica praticabile: tagli di spesa o aumento delle tasse.

Cio’ corrisponde ad un unico  sistema politico praticabile: il liberismo.

Il Fiscal Compact: cos’è e cosa impone?

Ma cosa ci siamo impegnati a mantenere con la firma del Fiscal compact?

Ecco di seguito i punto focali dell’accordo:

1) arrivare al pareggio di bilancio (equilibrio tra entrate ed uscite dello stato) che ogni stato deve inserire nella propria costituzione – come operato dal governo Monti

2) obbligo di non superamento della soglia del deficit strutturale (differenza tra entrate ed uscite) superiore allo 0,5% del PIL ovvero del numero che misura la ricchezza nazionale – per questo sforamenti oltre questa soglia come quelli operati sotto il governo Renzi richiedono autorizzazioni da parte dell’Europa

3) significativa riduzione del rapporto fra debito pubblico (ovvero del debito che l’Italia ha contratto con i cerditori attraverso la emissione di debito come, ad esempio, l’emissione di Titoli di Stato)  e PIL, pari ogni anno a un ventesimo della parte eccedente il 60% del PIL. Questa norma si aggiunge a quella già firmata sull’analogo rapporto del 3% stabilito con l’accordo di Maastricht

4) Impegno a coordinare con la COmmissione Europea eventuale emissione di debito, ovvero vincolo a sottoporre le manovre di Bilancio alla Commissione Europea, cosa che facciamo dalla firma del trattato attendendo le lettere di approvazione o disapprovazione dall’Europa (?), con le conseguenti “correzioni di bilancio” vincolanti da attuale.

5) l’obbligo per ogni stato di garantire correzioni automatiche con scadenze determinate quando non sia in grado di raggiungere gli obiettivi di bilancio concordati. In Italia questo vincolo si è concretizzato con le cosiddette “clausole di salvaguardia“, ovvero l’aumento automatico dell’Iva ogni governo ha imposto al successivo a partire dal governo Monti.,

È, quindi, evidente che i margini di manovra di qualunque governo sono praticamente nulli, stante la situazione di grave disavanzo per l’Italia che impediscono del tutto l’attuazione di qualunque politica sociale, di ampliamento o adeguamento dei servizi o anche solo di di supporto all’economia.

Logiche Conseguenze

Di qui la impossibilita’ di imporre regole come la riduzione dell’orario di lavoro a parità’ di stipendio, perché si scaricherebbe sulle imprese che, non potendo compensare con aumento dei prezzi (la merce non verrebbe piu’ acquistata stante la concorrenza a prezzi minori), si vedrebbero costrette a chiudere.

Paradossalmente questo sta già’ capitando da un decennio, ma non perché gli stipendi sono alti, ma perché l’euro ci impone il pagamento dei debiti e la riduzione del deficit.

Essendoci una grande disoccupazione e salari bassi, infatti, lo stato deve chiedere denaro in tasse a chi ancora possiede denaro, ovvero alle imprese. Di conseguenza le imprese meno appetibili sul mercato, ipertassate e non più competitive con la leva della svalutazione monetaria,  sono costrette a chiudere, mentre le altre sono svendute alla concorrenza straniera.

Ecco, quindi, che le imprese, per non chiudere, esigono dallo stato norme che consentano di ridurre gli stipendi, lasciando mano libera ad accordi di strozzinaggio con I sindacati, da un lato, e cancellando la contrattazione nazionale dall’altro.

Infine le aziende, non essendo questo sufficiente a sopravvivere, si vedono costrette a richiedere ed ottenere, come avvenuto in Italia attraverso il Jobs Act, la libertà’ di licenziamento.

Tutto questo passa in dote all’acquirente della concorrenza straniera che rileva l’azienda fallita già “ripulita” sia di debiti che di lavoratori non più necessari.

Quindi il sistema, non potendosi più’ riequilibrare attraverso il controllo del valore della moneta, si riequilibrio grazie alla riduzione salariale e alla disoccupazione programmata.

Moneta e Fiscal Compact: La Frode detta Euro

Dopo aver mostrato a quale prezzo abbiamo continuato ad aderire all’Euro, ovvero ho spiegato come e perchè il Fiscal Compact ha di fatto cancellato la nostra costituzione e ha regalato il paese alla Germania.

Voglio tornare sul tema della moneta per chiarire, ancora una volta ma da altre angolazioni, perché l’Euro é una fregatura rivolgendomi a coloro che seguono i parametri tradizionali che si sentono in TV e che insegnano nelle università, sulla funzione e senso della MONETA.

In primo luogo la moneta dovrebbe essere (e non é) una unità di misura del valore di beni e servizi.

Se si trasforma una unità di misura in qualcosa di variabile non è più una unità di misura.

E fin qui dovrebbe essere chiaro: se compro un vestito taglia 45 con la taglia che varia in base a quanta stoffa vuole metterci il produttore non comprerò mai il vestito giusto per me e rimarrò sempre “fregato”.

Questo è, quindi, il primo problema di fondo.

Considerare, come si fa oggi, la moneta al pari degli stessi beni dei quali dovrebbe misurare il valore é di per se già una fregatura e non serve un genio per capirlo, eppure questo é ciò che viene insegnato da tutti gli economisti.

La seconda fregatura è che la moneta attuale non vale in se nulla, mentre in passato aveva un valore ben preciso commisurato alla ricchezza e, di conseguenza, alle riserve di oro che il paese possedeva e ancora prima aveva un valore intrinseco poiché stampata in metallo prezioso.

In pratica la moneta era comparata ad un bene reale a valore reale.

Qualcuno, a questo punto, si starà chiedendo perché la Germania ha richiesto ed ottenuto il rientro di tutte le sue riserve auree dai forzieri americani e perché gli americani ci hanno messo ben 9 anni per restituire tutto…meditate gente.

Con la fine della convertibilità in oro e successivamente in dollari (il cui valore era garantito dalle riserve di oro che i paesi avevano depositato in America), la moneta sarebbe dovuta rimanere un “pagherò”, ovvero un debito che gli emettitori contraggono con chi l’accetta.

Essa è invece diventata quella che si chiama  moneta “FIAT” ovvero fiduciaria (mi permetto di suggerire che qualche burlone l’ha voluta associare alla fregatura che danno le auto della nota fabbrica italiana? Mah!) .

In pratica la moneta ha un valore dipendente dalla fiducia che i mercati hanno sulla ricchezza e solvibilità di chi la emette ovvero degli stati.

E fin qui siamo ancora ad una sorta di pagherò, se non fosse che speculando, comprando e vendendo, il valore della moneta diventa un po come quello delle azioni delle aziende e dei beni sui mercati: non é mai corrispondente al valore reale ma serve solo come oggetto psicologico di speculazioni di affaristi che fanno solo quello.

Ovviamente se il valore di una moneta sale e scende, chi possiede questo “titolo di debito” vede salire e scendere il valore delle cose che può comprare e, per giunta, non può andare a prendere a bastonate chi gli ha mollato questa fregatura, se la carta di debito che chiamiamo moneta che ha in mano torna ad essere quello che é: ovvero pura semplice carta straccia perché il malandrino è lo Stato.

Ma in Europa si è fatto di più, la moneta non è stata più prodotta in base alle politiche degli stati e quindi in base alle funzioni che lo stato assolve contraendo debito con la stampa di moneta.

Quelle funzioni cui lo stato assolve emettendo debito sono la risposta agli obblighi che ha nei confronti dei propri cittadini, ovvero quello di fornire servizi comuni e governare e accrescere il tenore di vita ed il benessere.

Nel caso dell’Euro, invece, ila moneta viene acquistata dagli stati in cambio di debito pubblico.

In altre parole gli stati non hanno più emesso dei titoli debito direttamente stampando moneta e dandoli  ai cittadini, ma acquistando moneta  in cambio di debito da chi stampa questa carta straccia.

Mi direte allora hanno dato debito alla BCE, che stampa gli Euro, in cambio di questa carta che chiamiamo Euro?

No, non è neppure questa la fregatura.

Inizialmente si è fatto in modo che gli stati non potessero acquistarla direttamente, ma che per farlo dovessero vendere i loro titoli alle banche e non direttamente alla BCE.

Per cui la BCE ha prestato euro a tassi bassissimi, ed oggi per la prima volta nella storia, pari a ZERO, SOLO alle banche.

In pratica le banche chiedono in prestito soldi alla BCE sui quali non pagano interessi e acquistano, senza spendere un solo euro, titoli di stato.Ma quanto valgono i titoli di stato?Quelli si che vengono valutati dal mercato.

Mi chiederete, ok, ma chi é il mercato? Ovvero chi acquista i titoli di Stato? Ovviamente le banche che poi, eventualmente, li rivendono ad altri compratori.

Insomma quanto valgono i titoli di stato lo decidono le banche e lo fanno speculando sui mercati e quindi decidendo quanto deve valere il debito che acquistano barando e facendolo salire o scendere a seconda di chi vogliono, di volta in volta, favorire, del resto hanno tutto il denaro che vogliono e gratis dalla BCE.

In questo modo le banche hanno incamerato il surplus in forma di interessi sui titoli di stato senza spendere assolutamente nulla.

Anzi visto che i titoli di stato si pagano prima con interessi, appena comprato il titolo hanno incamerato subito gli interessi ed alla scadenza hanno restituito il prestito alla BCE senza un solo euro in più di quella che hanno chiesto.

Con questo trucco, di fatto, non sono più gli stati che decidono come e quando stampare moneta ed emettere debito, ma sono le banche che, di fatto, hanno stampato e venduto moneta allo stato in cambio di debito reale.

Ma quanto vale allora davvero l’euro che le banche hanno dato allo stato?

Mentre i titoli di stato sono moneta vera e pagherò veri, l’euro é peggio della moneta FIAT perchè il suo valore reale é assolutizzante nullo e ce ne accorgeremo quando e, semmai arriverà, la fine dell’Euro.

In quel momento, ci si chiederà quanto vale quella carta e quanto gli stati devono avere indietro. Solo a quel punto la risposta sarà: ci spiace non dovete avere nulla indietro perché non avete nulla in mano in quanto chi dovrebbe garantire il valore di quel foglietto con su scritto euro é morto nello stesso momento in cui, voi Stati, ci avete chiesto indietro i soldi>>

Mi direte, ma questa è una frode a tutti gli effetti.

I più preparati mi diranno, ma questa è una Bolla economica speculativa.

I più realisti mi diranno: questa è una vera e propria macchinazione camorristica.

Avete tutti ragione.

Facendo in modo, quindi, che le banche potessero stampare, di fatto, moneta semplicemente chiedendo moneta a tasso nullo dalla BCE e incamerando valore reale in forma di debito dello stato, le banche son le uniche che hanno giovato.

Ma quali banche hanno giovato di più? Quelle che hanno seguito una precisa strategia politica a vantaggio di alcuni stati e che hanno potuto, di fatto, muovere più grandi quantità di titoli ed in modo “oligopolistico” ovvero come un vero e proprio cartello: ovvero le banche tedesche.

Di fatto la Banca Centrale Tedesca é l’unica, attraverso il sistema delle banche cantonali, che ha mantenuto il controllo diretto dello stato e, quindi, ha operato politiche di acquisto e vendita speculando a vantaggio di un solo stato, la Germania, che, in questo modo, ha acquisito una quantità enorme di debito reale dei paesi membri.

Ora capite perché é assolutamente centrale che i paesi membri non sforino con il debito e paghino quanto dovuto alla Germania ed ecco perché é stato chiesto il Fiscal Compact: semplicemente per garantire la speculazione finanziaria sul debito dei paesi membri da parte della Germania, da un lato, e dall’altro garantire alla Germania, (che ricordo é l’unica che non ha firmato il Fiscal Compact), la possibilità di gestire la politica degli stati membri indirettamente giocando sulla salita e discesa del debito pubblico.

Mi spiego: tu stato non ti comporti bene e rischi di non pagare il mio debito o fai una politica che al cancelliere di turno non piace?La Banca Centrale Tedesca, tramite le banche dei Lander, avvia una massiccia vendita di titoli del tuo stato facendo in modo che il suo valore crolli e con esso crolli il governo che non ha seguito le direttive in quanto, essendo vincolato strettamente, ai parametri di debito: o paga il debito interrompendo le politiche non gradite o viene fatto cadere sul peso dell’aumento vertiginoso degli interessi.

In Italia conosciamo bene questo meccanismo perché è quello adoperato dalla Merkel per mettere a suo tempo fuori gioco Berlusconi e sul quale sono in corso indagini della magistratura che vedono implicati i vertici della principale banca tedesca.

La cosa é stata parzialmente fermata dalla BCE solo di recente con l’operazione nota come QE Quantitative Easing ovvero acquisto massiccio di titoli di stato direttamente dalla BCE e, di conseguenza, disincentivazione della speculazione sui titoli di stato da parte di alcuni paesi, Germania in primis.

Quindi la BCE, a differenza di quanto fatto prima del 2014, ha iniziato ad acquistare direttamente debito e quindi titoli degli stati deboli su cui si faceva speculazione bloccando, di fatto, la speculazione e congelando in parte le variazioni del valore dei titoli.

Se, però, è stato parzialmente disinnescato il ricatto tedesco attraverso le manovre sui titoli resta sempre attivissimo il Fiscal Compact ed il ricatto sul debito.

Per spiegare tutto con una metafora semplice faccio solitamente questo esempio.

E’ come se andando a comprare stoffa da un mercante lui usasse una bacchetta che chiama metro e decidesse di volta in volta, a suo piacimento e a vantaggio solo di alcuni clienti, di allungarla ed accorciarla senza che il cliente possa controllare.

In estrema sintesi, per chi conosce i rudimenti di macroeconomia, le Banche, nei confronti dell’Euro, hanno agito come monopolista imponendo il prezzo e costringendo gli stati ad acquistare in base al valore che le banche stesse davano al debito di quello stato.

Quel valore é stato creato artificialmente dalle banche speculando sui mercati grazie al fatto che la moneta, alle banche, non costa assolutamente nulla, mentre gli stati la possono richiedere solo vendendo debito unicamente alle banche.

La trappola del FISCAL COMPACT: capirlo per capire la politica degli ultimi anni

Vi siete mai chiesti cosa sono le “clausole di salvaguardia” e perché l’IVA dovrebbe aumentare automaticamente se non si fanno manovre di tagli e tasse?  La risposta é nel Fiscal Compact

Su richiesta della Germania nel 2010 le norme comunitarie sono state inasprite costringendo i paesi ad un impegno ulteriore con un patto denominato Fiscal Compact che, tra i 16 articoli introduce le seguenti norme fondamentali:

1) l’impegno ad avere un deficit pubblico strutturale che non deve superare lo 0,5% del PIL e, per i paesi il cui debito pubblico è inferiore al 60% del PIL, l’1% del PIL;

2) l’obbligo per i Paesi con un debito pubblico superiore al 60% del PIL, di ridurre ogni anno di un ventesimo dell’eccedenza;

3) L’obbligo per ogni stato di garantire correzioni automatiche con scadenze determinate quando non si sia in grado di raggiungere altrimenti gli obbiettivi di bilancio concordati 

4) impegno ad inserire nuove regole in norme di tipo costituzionale e, comunque, nella legislazione nazionale , che vengono verificate dalla Corte europea di giustizia;

5) l’obbligo di mantenere il deficit pubblico sempre al di sotto del 3% del PIL, come previsto dal Patto di stabilità e crescita; in caso contrario scatteranno sanzioni semi-automatiche;

6) l’impegno a tenere almeno due vertici all’anno dei 18 leader dei paesi che adottano l’euro

Le cosiddette clausole di salvaguardia, applicate per la prima volta in anticipo sulla firma del trattato, dal governo Berlusconi, sono la realizzazione normativa delle clausole automatiche previste dal patto.

La introduzione della norma del Pareggio di Bilancio in costituzione, dichiarato incostituzionale dai principali costituzionalisti italiani ed introdotto dal governo Monti con l’appoggio della larga maggioranza del parlamento, sono in linea con l’obbligo indicato da quel patto.

Il problemi di costituzionalità sono ben più ampi e complessi e primo tra tutti questo: può in governo non più in carica obbligare un governo in carica ad applicare decisioni di politica economica svincolate dai doveri dello stato verso il cittadino?

La risposta costituzionale è, ovviamente, no.

Infatti le clausole vengono rinnovate dai governi in carica ogni anno proprio sulla base della norma incostituzionale introdotta dal governo Monti in base ai trattati incostituzionali firmati dal Governo Berlusconi.

Di conseguenza la questione é interamente costituzionale ed ecco perché è fondamentale , ed é parte essenziale del Fiscal Compact, che i paesi membri modifichino le norme costituzionali che impediscono l’applicazione di questi principi capestro. I paesi membri, quindi, si impegnano, di fatto, ad introdurre norme costituzionali in base alle quali le stesse modifiche costituzionali possano agevoli e progressivamente adattate ai trattati che gli stati vengono obbligati a firmare. In questo senso é chiaramente richiesta una modifica degli assetti istituzionali ed elettorali che consenta agevolamene a governi minoritari di manipolare la costituzione secondo quanto richiesto dall’Europa.

La riforma costituzionale votata lo scorso anno con il referendum, ottenuta a colpi di fiducia parlamentare, non era, quindi, una decisione autonoma dell’ex Presidente del Consiglio Matteo Renzi, ma era parte di quanto, con continuità, hanno firmato ed applicato i governi dal 1992 in poi.

Va ricordato che la Germania, che ha proposto il trattato,  non lo ha firmato  perchè la corte costituzionale tedesca ha giudicato incostituzionale sia il contenuto delle norme  che si sarebbero dovute introdurre, sia il fatto che un trattato non può vincolare uno stato a firmare modifiche alla propria costituzione che siano incostituzionali

L’Italia lo ha fatto, questa norma incostituzionale e le clausole di salvaguardia incostituzionali insieme al cosiddetto patto di stabilità e crescita che dissangua le regioni e le obbliga al pareggio di bilancio indipendentemente dagli obblighi sociali, sono state introdotte e da allora, ed ogni governo in carica deve, di anno in anno operare due azioni:

a) aumentare le tasse ai cittadini se il patto non é stato raggiunto
b) tagliare costi e quindi servizi
c) vendere beni dello stato

Quindi ecco perchè da allora il bilancio italiano dello stato deve essere sottoposto all’approvazione della Commissione e perchè  non esiste più, di fatto,  una politica economica nazionale, uno stato sociale, una politica industriale

La domanda è, ma le tasse a chi vanno?

Ovviamente a chi compra il debito italiano che, per oltre il 40% (quello ufficiale, ma se si pensa alle conpartecipazioni straniere in banche italiane è molto di più) é in mani straniere e principalmente nelle mani della Germania che non ha firmato quel patto.

Ora spero che la trappola vi sia chiara e sia chiaro perché, qualunque sia il governo in carica, se vuole salvare il paese occorre che rescinda il contratto, ma vi è anche chiaro perché Renzi ha chiesto “flessibilità” alla Germania implorando e perché la Germania, che non è vincolata da quel patto specie in considerazione del fatto che le sue banche giovano di quel patto, non ha inteso concederla neppure per le cose di primaria necessità.

Ci si potrebbe domandare: ma la Francia ha firmato quel patto, perché non lo rispetta? Perché si insiste così tanto sulla sicurezza interna rispetto alla situazione drammatica di crisi?

La risposta é assai semplice: Hollande prima Macron dopo, in accordo con la Germania, hanno deciso che la sicurezza interna contava più del patto di stabilità e, quindi, le spese per la difesa e per la sicurezza svincolano un paese dalla adesione alle clausole.

Va però notato che anche in Francia, ove i sindacati hanno ancora potere e forza, il Jobs Act é passato sfruttando, guarda caso, la strage di Nizza.

La domanda ora è, ma qualunque governo salirà dopo le prossime elezioni avrà davvero la volontà o sarà in grado di modificare le norme del fiscal compact, già firmate o di avere la forza di rescindere quel contratto?

Probabilmente no visto che il Fiscal Compact si appresta a diventare norma per tutti gli stati membri anche se sono certo che troveranno il modo di escludere la Germania.

L’apocalisse Gold Standard che spazzerà via l’Italia

Di chi é l’oro degli italiani? Sembrerebbe una battuta, ma nelle scorse settimane vi sono state varie notizie tra cui una frase pronunciata da Primo Ministro Conte alla Camera dei deputati, in cui egli afferma che le riserve auree non appartengono allo Stato e quindi agli Italiani.

Lo ha detto, ma credo sia stato perso alla sprovvista. Temo, infatti, che non abbia la minima idea di quanto sta per capitare al nostro paese e che non conosca il reale pericolo che incombe.

Purtroppo temo anche che nemmeno i 5 Stelle ne sappiano gran che, seppure furono il cuore della battaglia su Bankitalia condotta proprio da loro nel 2014, ma senza l’avallo di Grillo e Casaleggio e grazie all’impegno dell’allora senatore 5 Stelle Francesco Molinari e dall’allora deputato 5 Stelle Barbanti.

A quella battaglia solitaria prendemmo parte attiva, fuori dal parlamento io e Fiammetta Bianchi poiché avevamo previsto quello che stava per capitare quando ancora non si parlava neppure lontanamente di crisi del sistema bancario italiano.

Giusto per ricordarlo a chi non ne sa nulla e per identificare bene i responsabili della catastrofe che ci attende, prima di descriverla, faccio una breve sintesi. Seguitemi con attenzione e comprenderete il cuore di una tremenda profezia.

L’affair Bankitalia e la ghigliottina

Nel Gennaio del 2014 andò in discussione, perché in scadenza, il decreto legge 133/2013. Con questo decreto si interveniva a definire un problema trascinatosi per anni (volutamente) ovvero a chi appartenesse la governance di Bankitalia.

Il problema fu sollevato negli anni 80 quando Bankitalia venne sottratta al controllo del Ministero del Tesoro e non fu definito esattamente il suo assetto, ma soprattutto non si definì, come avvenuto in tutte le parti del mondo, che la Banca Nazionale non entrava in possesso automaticamente delle riserve auree italiane, ma sarebbe stata semplicemente il custode di queste ingenti risorse che pongono ancora oggi, almeno sulla carta, l’Italia al terzo posto nel mondo.

Occorre sapere, infatti, che fino a quando è stato in vigore negli anni 70, la corrispondenza tra quantità d’oro e moneta emessa (essa recava la scritta “cambiabile a vista al portatore”, ovvero cambiabile in oro), tecnicamente nota come Gold Standard quelle riserve avevano il compito di garantire che la quanità di moneta emessa fosse coperta da un reale valore in oro posseduto dallo stato emittente. Tra il 1960 ed il 1971 l’amministrazione americana investì gran parte dell’oro detenuto a Fort Knox anche per conto di paesi esteri come l’Italia, per finanziare la catastrofe del Vietnam.  Ma nel 1971 si accorse di non avere più oro da restituire ai paesi detentori, e per evitare il fallimento del più importante stato del mondo,  fu inventata una finzione economica, una vera e propria bolla finanziaria che é in vigore ancora oggi: la teoria della Moneta Fiat.

Secondo questa moderna teoria economica, che resisteva 40, anni la moneta cartacea non è una semplice cambiale pagabile a vista emessa dallo Stato, ma un bene esso stesso che non ha bisogno di corrispettivo. La teoria avrebbe funzionato sempre meglio man mano che gli Stati si sarebbero dotati di Banche Centrali, che queste fossero via via privatizzate e man mano che il mondo si sarebbe dotato di un numero sempre più esiguo di monete sovranazionali.

Ma torniamo alla nostra triste storia italiana e al gennaio del 2014.

Con l’ingresso nell’Euro essendo Bankitalia di fatto divenuta una succursale italiana della BCE, un problema, già di per se irrisolto della sua governance e proprietà, è diventato ancora più ingarbugliato.

Nel frattempo, dopo la crisi del 2008, gran parte degli stati europei si sono affrettati a mettere a riparo le loro Banche con aiuti di Stato prima che si desse il via al Bail-in, ovvero la impossibilità di aiutare banche in difficoltà da parte degli stati. In Italia ovviamente on é avvenuto nulla di tutto questo e, anzi, il nostro paese é stato il primo a sperimentare, sappiamo con quale esito, la catastrofe Bail-in.

Molti stati, però, hanno anche cominciato a preoccuparsi di un possibile fallimento dell’Euro, specie dopo la crisi Greca, e di conseguenza hanno chiesto il rientro in patria di tutte le loro riserve auree, Germania in primis, in previsione che la bolla monetaria dell’Euro scoppiasse tirandosi dietro tutta la teoria farlocca della Moneta Fiat e portando al ritorno al vecchio Gold Standard.

E l’Italia?

In Italia tutta la politica da Berlusconi, al PD fino a Monti, dichiarava solidissime le Banche italiane e, con Bankitalia alla testa,  si tessevano gli elogi degli istituti bancari nostrani. Ovviamente mentre Francia, Germania, Olanda e persino Polonia ed Ungheria avviavano il rientro delle loro riserve auree nel nostro paese la parola spessa “riserva aurea” restava un tabù.

Inoltre, a  differenza di altre nazioni, su ordini chiaramente provenienti dal sistema bancario italiano e della Troika, ma soprattutto su consiglio di quei politici che si erano fatti garanti delle banche al governo, si decise di risolvere definitivamente i problemi della Governance con un decreto.

In quel degreto, venivano messe un po’ di cose “gradevoli per i media” e non rinviabili (come le decisioni sull’IMU) insieme ad una criptica sorpresa, la ricapitalizzazione (virtuale) di Bankitalia, con la scusa che il capitale sociale definito nel 1936 era chiaramente ormai irrisorio ed incompatibile con il valore reale dell’Ente.

Grazie a questa ricapitalizzazione da 7,5 miliardi, le banche, la cui partecipazione a Bankitalia era irrisoria, ne divenivano di fatto proprietarie. Ma a che scopo?

Ovviamente questa operazione speculativa di carattere meramente finanziario e a costo nullo per le banche, serviva ad incamerare non il valore fittizio dell’Ente, ma qualcosa di assai più rilevante: le riserve auree italiane che erano e sono ancora, almeno sulla carta, le quinte al mondo.

Questa ricapitalizzazione, fatta senza alcuna menzione delle riserve auree e della loro destinazione, avrebbe consentito, di fatto, alle banche di ricapitalizzarsi automaticamente in modo da superare indenni gli stress test che la BCE stava per avviare.

Pochi mesi dopo sarebbero scoppiati gli scandali nei quali esponenti intoccabili del governo hanno visto coinvolti loro familiari (ricordiamo a mero titolo di esempio la Boschi).

Abbiamo, quindi, un fondato sospetto che il vero motivo dell’operazione sia andato ben al di là di una mera cessione gratuita di denaro pubblico, a queste banche poi fallite e che l’oro degli italiani abbia preso altre strade.

Per non tirarla troppo per le lunghe, la battaglia parlamentare si svolse a colpi di ostruzionismo e si iscrissero a parlare uno ad uno tutti gli esponenti dei 5 Stelle, ma da soli non ce l’avrebbero mai fatta.

Ad essi si unirono quelli della Lega e quelli di Fratelli d’Italia e il decreto era ormai certo che sarebbe scaduto quando la Boldrini, oggi parlamentare Leu, applicò per la prima volta in Italia la cosiddetta “ghigliottina”, ovvero sospese unilateralmente la discussione e mise ai voti i decreto diventato poi legge con i voti del Partito Democratico e di Forza Italia, oltre di partitini come quello di Monti, poi cancellati dalle scorse elezioni.

Mi chiederete, ma la gente dov’era mentre in parlamento succedeva tutto questo casino? Quelle che vedete sono le uniche due persone che hanno protestato e cui sono state chiesti e ritirati i documenti dalla polizia. Né i 5 Stelle, né la Lega, ne Fratelli di?Italia portarono una sola persona a protestare fuori dal parlamento.

Di chi è l’oro degli Italiani: ovvero la proposta di legge Borghi sulle riserve auree

Chi, invece, pare avere ben chiaro il problema è Borghi.

La risposta di Conte, interviene a valle di una proposta di legge a firma Borghi, in cui si prospettava prospetta la necessità di una votazione del parlamento per fornire autorizzazione alla alienazione di parte dell’oro detenuto da Bankitalia.

Lo scopo, come dichiarato dallo stesso Borghi, è stato quelli di chiarire che la proprietà dell’oro detenuto da Bankitalia, é dello Stato italiano. Ecco come egli stesso ha commentato la sua proposta in una intervista radiofonica:

Fisseremo per legge che la proprietà è pubblica (…) L’oro non  si vende anzi si protegge. (…) Anche il direttore generale di via Nazionale, Salvatore Rossi scrive che l’oro è sicuramente degli italiani, ma giuridicamente è di Banca d’Italia (…) Il cuore della mia proposta di legge è l’interpretazione corretta che viene data all’unica legge italiana nella quale si parla dell’oro (Il testo Unico delle norme in materia valutaria del 1988) nella quale si dice che Bankitalia detiene e gestisce le riserve auree nazionali. Chiunque non sia in malafede comprende che la custodia di un bene è cosa ben diversa dal possesso.>>

Tutto risolto direte. E invece no.

Infatti pochi giorni fa il governatore Visco ha ribadito quello che noi temevamo fosse avvenuto con la conversioen in legge del decreto 133/2013, ovvero ha ufficialmente affermato che l’oro detenuto da Bankitalia non apperiene allo stato ma alla Banca e quindi agli azionisti, ovvero le banche a cui Renzi ed il PD ha regalato l’istituto di Via Nazionale insieme a tutto l’oro italiano

Cosa c’è sotto? La trappola del Gold Standard

Borghi non é di certo impazzito e la sua provocazione aveva un motivo, a nostro avviso, assai lucido legato ad un articolo apparso sul Sole 24 ore

In esso il giornale ha scovato, tra i cavilli dell’accordo interbancario Basilea 3, la rimonetizzazione dell’ Oro e quello che di fatto è un ritorno al Gold Standard, ovvero corrispondenza uno ad uno tra moneta emessa e oro detenuto.

Mi chiederete, ma é possibile che tutto questo non passi per la politica? In effetti se le Banche Centrali, come Bankitalia, sono diventate di proprietà il valore stesso della moneta e la sua emissione è diventato una affare che non riguarda più lo Stato.

Per aggirare il problema del ritorno “de facto” del Gold Standard è bastato inserire nell’accordo interbancario Basilea 3 (per capirci della serie di quello che ha portato lacrime e sangue nelle case italiane con il Bail-in), della ammissione nei bilanci delle banche dell’oro come bene non più ritenuto “a rischio”.

Ora, considerato che ad oggi i beni su cui non sono applicati parametri di rischio per valutare la solidità dei bilanci delle banche sono i titoli di stato, il sole 24 ore (quindi non un giornaletto scandalistico) ipotizza che a breve ai titoli di stato detenuti dalle banche verrà applicato un coefficiente di ponderazione del rischio.

Ovviamente, a questo punto, vi chiederete chi è che rischia di più, ma la risposta già la conoscete, le Banche Italiane e Bankitalia stessa, che hanno in pancia il 60% dei titoli emessi dallo Stato e che, ovviamente, si troveranno a breve poco più che carta straccia a garanzia della loro solidità.

Una soluzione ci sarebbe ma…

Ovviamente la situazione drammatica si ribalterebbe se si appurasse che l’oro Italiano appartiene allo Stato.

Infatti essendo le riserve auree italiane le terze al mondo, come più volte ribadito, nel caso di un ritorno alle monete nazionali conseguente alla esplosione della bolla Euro, l’Italia sarebbe uno dei pochi paesi al mondo con maggiori garanzia.

E qui si arriva ai due problemi che ho spiegato qui sopra e di cui ora capirete a fondo la gravità:

1) L’Italia, a differenza di altri paesi europei, non ha mai chiesto il rientro delle sue riserve detenute in banche estere, problema, questo, legato al secondo assai più grave

2)  Bankitalia, per bocca di Visco, afferma che l’oro degli italiani non è degli italiani, di Bankitalia ovvero, aggiungo io, delle banche italiane che ne sono azionisti.

A questo si aggiunge un terzo problema, che se leggete tra le righe le parole enigmatiche di Visco, si comprende benissimo:

sono sicuro che dell’oro italiano,, indipendentemente dal capire a chi appartenga (credo proprio non a Bankitalia) non c’è più traccia essendo stato adoperato ampiamente per svenderlo in cambio di Titoli di Stato messi a copertura dei bilanci delle banche alcune delle quali già fallite. In buona sostanza temo che le banche italiane abbiano fatto fronte ad una crisi creata per loro a tavolino e dalla malagestione, svendendo l’oro italiano e facendo in modo che lo Stato acquistasse il suo stesso debito  con l’oro regalato alle banche.

E la cosa paradossale in tutto questo, è che non sarà servito altro che a svendere le banche rimanenti alle multinazionali europee e mondiali e a portare il paese al fallimento imminente.

Questo si che è il più grande furto e la più grande truffa della storia, peccato che la pagheremo noi italiani e i nostri figli per i prossimi cento anni almeno.

Di seguito in versione PDF il libro di IDA MAGLI “La dittatura Europea”

Sabato Scala

Fonte: fuoridaglischemi.altervista.org

Moneta unica, la trappola del fiscal compact e l’evidente frode dell’euro
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