Fermentazione
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La fermentazione degli alimenti

Cucinare senza calore

Michael Pollan definisce così la fermentazione, ovvero una profonda trasformazione dei cibi a fini culinari che avviene senza l’ausilio di nessuna fonte di calore.

Ultimamente sentiamo spesso parlare di fermentazione e alimenti fermentati, comprese bevande, che suscitano grande interesse nel mondo del cibo.

In realtà i cibi fermentati fanno parte della nostra cultura gastronomica da moltissimo tempo, ma se n’è perso l’utilizzo principalmente a causa, o grazie, all’avvento del frigorifero domestico e della produzione industriale che, sterilizzando contenitori e alimenti, evita la presenza e la proliferazione di qualunque microrganismo.

Infatti, questa tecnica era principalmente utilizzata come metodo di conservazione.

Negli ultimissimi anni invece c’è stata una riscoperta della fermentazione e degli alimenti fermentati.

I motivi sono molteplici e per lo più legati alle nuove ricerche sul microbioma intestinale che ha evidenziato il valore aggiunto dei cibi fermentati vivi sull’organismo umano e dall’altra parte la volontà di volersi staccare dalle produzioni di massa, in scia a tutti i movimenti legati alla sostenibilità ambientale, il km0 e simili.

Il cibo fermentato viene visto come un qualcosa di artigianale, fatto in casa, vivo e quindi di qualità superiore ai prodotti industriali.

Ma effettivamente cosa vuol dire che un alimento è fermentato? E soprattutto, che cosa cambia?

La definizione di Fermentazione

Prima di tutto facciamo una distinzione fra il significato “stretto” e quello allargato che invece userò sempre in questo blog.

La fermentazione in senso biochimico è la via metabolica con cui gli esseri viventi ricavano energia da molecole organiche, perlopiù zuccheri, in assenza di ossigeno (anerobiosi).

In un senso più gastronomico, considero una fermentazione, una qualunque trasformazione di alimenti a carico di microrganismi, sia che questi agiscano in presenza o assenza di ossigeno.

In questo contesto, i cibi fermentati sono alimenti che hanno subito una serie di trasformazioni principalmente a carico di batteri, lieviti e muffe, i quali hanno modificato la composizione chimica degli alimenti e del mezzo (liquido) in cui sono immersi.

Queste trasformazioni hanno 3 principali conseguenze:

  • Permettono di conservare i cibi a medio e lungo termine. Pensate al formaggio, ai salumi e alle olive in salamoia: tutti fermentati per permetterne la conservazione. Il frigorifero e il supermercato non hanno sempre fatto parte della nostra quotidianità;
  • Sviluppano diversi composti che cambiano in parte il sapore degli alimenti;
  • Danno un valore aggiunto nutrizionale e salutistico all’alimento. Questo aspetto verrà approfondito nel blog attraverso specifici articoli divulgativi basati su pubblicazioni scientifiche. Questo non significa che tali articoli debbano essere utilizzati a scopi terapeutici o nutrizionali o, peggio ancora, sostituiscano il parere di un medico. L’unico obiettivo degli articoli su questi aspetti è quello di stimolare un interesse, da approfondire confrontandosi con i propri medici e biologi nutrizionisti di riferimento.

Tutte queste trasformazioni sono possibili grazie alla presenza di microorganismi “benefici”, che permettono di ottenere il risultato organolettico voluto e proteggono l’alimento fermentato da microrganismi che lo farebbero marcire o peggio ancora lo renderebbero pericoloso per la salute umana.

Questi microrganismi non si limitano a portare avanti le loro trasformazioni ma, cambiando alcuni parametri ambientali come il pH, e producendo alcune sostanze come ad esempio le batteriocine, impediscono ai batteri patogeni di proliferare.

Nell’applicazione legata al consumo del cibo e delle bevande, l’aspetto più importante ed interessante della fermentazione è il secondo: una tecnica per ottenere sapori diversi ed unici.

La fermentazione porta ad una maggiore varietà di molecole presenti, aumentando la complessità aromatica del cibo, e quindi permettendo di ottenere risultati unici.

La fermentazione è lo strumento adatto per ottenere sapori unici

In generale, i batteri e lieviti che fermentano gli alimenti vengono chiamati fermenti, ma questo termine può essere ampliato anche agli enzimi che i microrganismi utilizzano nei processi biochimici, proteine specializzate nella trasformazione di determinate molecole.

Spesso i singoli enzimi vengono isolati dall’uomo ed utilizzati per ottenere uno specifico risultato, senza l’implementazione dei microrganismi.

Quanti tipi di fermentazioni esistono?

In funzione dei microorganismi coinvolti nella fermentazione e dei prodotti finali, ne avremo diversi tipi, che prendono appunto il nome dalla sostanza più importante prodotta a conclusione del processo.

I due tipi di fermentazione che maggiormente ci interessano sono la lattica e la alcolica.

Poi abbiamo anche la acetica.

Esistono, infine, anche altri tipi di fermentazione meno conosciuti: la malolattica che trasforma l’acido malico in acido lattico (non è una fermentazione in senso stretto).

La propionica, responsabile dell’occhiatura dei formaggi.

La butirrica, che è un processo dannoso nella caseificazione.

Fra quelle che ci interessano maggiormente, la fermentazione lattica produrrà principalmente acido lattico, mentre la fermentazione alcolica produrrà alcol (principalmente etanolo).

In entrambe le fermentazioni, solitamente si nota anche una produzione di anidride carbonica.

Anche all’interno della singola fermentazione lattica o alcolica possiamo avere risultati, quindi sapori, diversi fra loro, in funzione dei microorganismi maggiormente presenti.

Fermentazione spontanea o con starter.

Ma come facciamo a fare in modo che avvenga questa o quella fermentazione?

Come abbiamo detto, la è un processo a carico di alcuni microrganismi.

Quindi, se vogliamo che avvenga uno specifico tipo di fermentazione dovremo fare in modo che sia maggiormente presente quel particolare microrganismo che causa la fermentazione desiderata.

Per fare in modo che ciò avvenga ci sono due modi: o creo le condizioni ottimali per quel tipo di microrganismo a discapito degli altri oppure inoculo in maniera massiccia quel preciso batterio o lievito.

Il primo metodo prende il nome di fermentazione spontanea.

Per ottenere una fermentazione spontanea è necessario creare le condizioni ideali per far proliferare solo i microrganismi voluti, già presenti nell’ambiente (i microorganismi sono ovunque anche se non li vediamo!), in modo che questi abbiano un vantaggio nel proliferare rispetto agli altri.

Questo approccio crea un ambiente selettivo.

Una volta dato questo vantaggio, ci penseranno loro a rendere l’ambiente sempre più adatto alla loro proliferazione e inospitale per altri microrganismi.

Con il secondo metodo, ovvero utilizzando gli starter, si ottiene lo stesso risultato ma si inoculano in massa i microrganismi desiderati. 

Questo darà loro un vantaggio numerico iniziale che gli permetterà di modificare l’ambiente a loro vantaggio.

Questi batteri o lieviti selezionati prendono il nome di starter.

Flavio Sacco

Flavio Sacco si occupa di fermentazione degli alimenti in maniera quotidiana e professionale, tenendo corsi, seminari e facendo opera di divulgazione attraverso i social e il suo blog fermentalista.com.
Inoltre è cofondatore di LIFe – Laboratorio Italiano Fermentati

Fonte: fermentalista

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