Non il virus ma la cura
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Covid, perché tanti morti?
La tesi:
la ventilazione forzata produce polmoniti

La prova regina che non sarebbe stato il virus a provocare i tanti morti ma la cura, la polmonite batterica secondaria prodotta dalla ventilazione. Studio Usa.
Gli scienziati USA della Northwestern University Feinberg School of Medicine hanno scoperto che la polmonite batterica secondaria è stato il fattore chiave di morte nei pazienti con COVID-19, non le tempeste citochiniche, tanto citate durante tutta la pandemia.

Non il virus ma la cura

I risultati, pubblicati alcuni giorni fa sul Journal of Clinical Investigation, prestigiosa rivista medica peer-review attiva dal 1924, evidenziano che il danno che ha poi portato alla morte di tanti pazienti non sia stato provocato dal virus in sé, ma dalla ventilazione a livello polmonare, peggio se forzata.

Questo perché quasi la metà dei pazienti con COVID-19 sviluppa una polmonite batterica secondaria associata alla ventilazione polmonare utilizzata invece per salvarli.

Il dottore Benjamin Singer, professore di Medicina Polmonare presso il Dipartimento di Medicina, medico polmonare e di terapia intensiva della Northwestern Medicine, ha spiegato in modo esplicito i risultati della ricerca:

“I nostri dati suggeriscono che la mortalità correlata al virus stesso è relativamente bassa, ma altre cose che accadono durante la degenza in terapia intensiva, come la polmonite batterica secondaria, compensano questo stato”.

“Coloro che sono stati curati dalla loro polmonite secondaria avevano maggiori probabilità di vivere, mentre quelli in cui questo tipo di polmonite non si è risolta avevano maggiori probabilità di morire”.

Singer ha detto:

“Il termine ‘tempesta di citochine’ significa un’infiammazione travolgente che provoca insufficienza nell’organo nei polmoni, nei reni, nel cervello e in altri organi”
“Se ciò fosse vero, se la tempesta di citochine fosse alla base della lunga degenza che vediamo nei pazienti con COVID-19, ci aspetteremmo di vedere frequenti transizioni a stati caratterizzati da insufficienza multiorgano. Non è quello che abbiamo visto nello studio”

L’importanza della superinfezione batterica del polmone, come contributo determinante alla morte nei pazienti con COVID-19, è stata sottovalutata dalla comunità scientifica.
La maggior parte dei centri non l’ha cercata o ha guardato solo ai risultati in termini di presenza o assenza di superinfezione batterica, “non se il trattamento avesse successo o no”, ha spiegato Richard Wunderink, primario che guida il Successful Clinical Response in Pneumonia Therapy Systems Biology Center presso la Northwestern e coautore dello studio.

La ricerca ha analizzato 585 pazienti nell’unità di terapia intensiva (ICU) del Northwestern Memorial Hospital con polmonite grave e insufficienza respiratoria, 190 dei quali con COVID-19, trovando uniformità di sviluppo dell’infezione e per quali motivi questa conduca o meno alla morte.

Gli scienziati hanno sviluppato un nuovo approccio di apprendimento automatico realizzato con l’Intelligenza artificiale chiamato CarpeDiem, che raggruppa pazienti simili in stati clinici simili.
Questo nuovo approccio, che si basa sul concetto di turni giornalieri del team di terapia intensiva, ha permesso loro di chiedersi in che modo le complicazioni, come la polmonite batterica, influissero sul decorso della malattia, non dando quindi nulla per scontato.

La scienza è parzialità, verifica continua, cautela e analisi non dogma, tanto meno show nella società dello spettacolo di un presunto vangelo.

FONTE: Affari Italiani

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