Mar Rosso
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Crisi nel Mar Rosso, quali conseguenze per l’Italia? Lombardia ed Emilia-Romagna le regioni che rischiano di più.

Ci sono differenze notevoli tra una regione e l’altra in termini di esposizione a un’eventuale crisi, spiega il presidente di Confartigianato ma la situazione «penalizza il sistema del made in Italy e l’approvvigionamento di prodotti essenziali per la trasformazione della manifattura italiana»

Viene dal Medio Oriente, e in particolare dal sud del Mar Rosso, l’ultimo rischio di destabilizzazione per l’economia europea.

ripetuti attacchi degli Houthi, il gruppo di ribelli yemeniti che da settimane bersaglia le navi mercantili in transito dal Canale di Suez, hanno già convinto diverse aziende a interrompere le spedizioni o cambiare rotta.

Secondo una stima del Kiel Institute, a dicembre il volume dei container spediti attraverso il Mar Rosso si è ridotto del 66% rispetto alla media degli anni passati.

Una situazione che rischia di farsi sentire anche in Europa.

«Non possiamo sottovalutare la possibilità che la tensione nel Mar Rosso abbia delle conseguenze», ha avvertito ieri il commissario europeo all’Economia, Paolo Gentiloni, a margine dell’Eurogruppo.

Per il momento di effetti veri e propri non se ne sono visti, ma secondo l’ex premier italiano «potrebbero materializzarsi nelle prossime settimane».

Lo stop del Qatar alle spedizioni di gas

Il settore dell’energia è uno di quelli che più potrebbero risentire delle tensioni in Medio Oriente.

Il Qatar, primo esportatore mondiale di gas naturale liquefatto (Gnl), ha interrotto il transito delle sue navi gasiere dal Mar Rosso.

Dopo l’invasione russa in Ucraina (e la rottura diplomatica con Mosca), la monarchia del Golfo è diventata uno dei principali fornitori di gas liquefatto per l’Europa.

Lo stop alle spedizioni, dunque, innesca sicuramente nuove incertezze per i Paesi europei, ma secondo gli esperti non metterà a rischio la capacità di coprire la domanda per i mesi invernali.

Il motivo è che tutta l’Unione europea può contare su livelli di riserve di gas particolarmente alti, una strategia che serve proprio a rispondere a eventuali shock nelle forniture.

Stando ai dati di Gie Agsi, in questo momento le riserve italiane sono piene circa al 75%.

Il rischio di rimanere a corto di gas, dunque, non c’è.

Il problema, semmai, riguarda i prezzi.

Nei giorni scorsi, al Ttf di Amsterdam il gas è tornato brevemente sotto la soglia dei 30 euro al Megawattora, ma potrebbe tornare a salire in caso di nuovi attacchi e nuovi stop alle forniture.

I timori delle imprese

Energia a parte, a temere il rischio di allargamento del conflitto in Medio Oriente sono soprattutto le imprese.

Secondo Confartigianato, il valore dell’import-export italiano che transita ogni anno per il Canale di Suez è pari a 148,1 miliardi di euro, di cui 93,1 di importazioni e 53 di esportazioni.

Per Marco Granelli, presidente dell’associazione di categoria, ciò che sta succedendo nel Mar Rosso «penalizza il sistema del made in Italy e l’approvvigionamento di prodotti essenziali per la trasformazione della manifattura italiana».

In percentuale, le merci italiane che transitano dal Canale di Suez rappresentano il 15,2% delle importazioni totali dall’estero e l’8,7% delle esportazioni.

A livello territoriale, ci sono differenze notevoli tra una regione e l’altra in termini di esposizione a un’eventuale crisi.

La regione più a rischio in termini assoluti è la Lombardia, che nell’ultimo anno ha esportato attraverso il Mar Rosso merci per 12,9 miliardi di euro.

Se si considerano invece le esportazioni in rapporto al Pil, le regioni più esposte sono l’Emilia-Romagna, che vede transitare dal Canale di Suez merci dal valore pari al 5,3% del Pil regionale, il Friuli-Venezia Giulia (4,7%) e la Toscana (3,7%).

Fonte: open

Inter

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