Discorso integrale del presidente argentino Milei al Wef di Davos 2024
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Video integrale del discorso del presidente argentino Javier Gerardo Milei. Pur dissentendo su alcune questioni, lo trovo un testo stimolante, che evidenzia il nuovo sistema sociale che ci stanno imponendo a poco a poco, mentre ci sommergono di appelli a proteggere la comunità a detrimento del diritto individuale di ciascuno. Basta leggere l’ultima versione del piano pandemico che incorpora completamente, anche se non sono ancora stati ratificati, la riforma del regolamento sanitario internazionale e il trattato pandemico dell’OMS. L’orientamento era già chiaro quando sono state rese note le prime decisioni della corte costituzionale sui diritti violati di chi era stato obbligato a vaccinarsi. Vi invito a leggere con attenzione e a fare le dovute riflessioni.

««Oggi sono qui per dirvi che l’Occidente è in pericolo. È in pericolo perché coloro che dovrebbero difendere i valori dell’Occidente sono cooptati da una visione del mondo che porta inevitabilmente al socialismo e, di conseguenza, alla povertà. Purtroppo, negli ultimi decenni – alcuni mossi dal desiderio altruista di voler aiutare il prossimo e altri dal desiderio di appartenere a una casta privilegiata – i principali leader del mondo Occidentale hanno abbandonato il modello di libertà per diverse versioni di ciò che noi chiamiamo collettivismo.

Siamo qui per dirvi che gli esperimenti collettivisti non sono mai la soluzione ai problemi che affliggono i cittadini del mondo ma, al contrario, ne sono la causa. Credetemi, nessuno meglio di noi argentini può dare testimonianza di questi problemi. Quando abbiamo adottato il modello liberista, intorno all’anno 1860, in 35 anni siamo diventati la prima potenza mondiale. Mentre da quando abbiamo abbracciato il collettivismo, negli ultimi cento anni, abbiamo visto come i nostri cittadini si sono impoveriti progressivamente fino a scendere al 140° posto nel mondo.

Ma prima di iniziare questa discussione, sarebbe importante per noi esaminare i dati che dimostrano perché il capitalismo della libera impresa non solo è l’unico sistema possibile per eliminare la povertà nel mondo, ma è l’unico sistema moralmente auspicabile per raggiungere questo scopo. Se consideriamo la storia del progresso economico, possiamo vedere come dall’anno 0 fino all’anno 1800 circa, il PIL pro capite mondiale è rimasto pressoché costante durante tutto il periodo di riferimento.

Se guardassimo un grafico dell’evoluzione della crescita economica nel corso della storia dell’umanità, vedremmo un grafico a forma di bastone da hockey: una funzione esponenziale che è rimasta costante per il 90% del tempo e si è innescata in modo esponenziale a partire dal XIX secolo. L’unica eccezione a questa storia di stagnazione fu alla fine del XV secolo, con la scoperta dell’America. Ma, a parte quella eccezione, per tutto il periodo compreso tra l’anno zero e l’anno 1800, il PIL mondiale pro capite è rimasto stagnante.

Ebbene, non solo il capitalismo ha generato un’esplosione di ricchezza dal momento in cui è stato adottato come sistema economico ma, se si analizzano i dati, quello che si osserva è che questa crescita è stata in accelerazione durante tutto il periodo. Durante tutto il periodo compreso tra l’anno zero e il 1800, il tasso di crescita del PIL pro capite è rimasto stabile allo 0,02%. Cioè praticamente nessuna crescita.

A partire dal XIX secolo, con la rivoluzione industriale, il tasso di crescita è allo 0,66% annuo composto. A quel ritmo, per raddoppiare il PIL pro capite ci vorrebbero circa 107 anni. Ora, se guardiamo al periodo tra il 1900 e il 1950, il tasso di crescita si alza al 1,66% annuo composto. Non abbiamo più bisogno di 107 anni per raddoppiare il PIL, ma di 66. E se consideriamo il periodo tra il 1950 e il 2000, notiamo che il tasso di crescita è stato del 2,1% annuo composto, il che significherebbe che in soli 33 anni potremmo raddoppiare il PIL mondiale pro capite.

Questa tendenza, lontana dal fermarsi, resta viva oggi. Se prendiamo il periodo tra il 2000 e il 2023, il tasso di crescita si accelera nuovamente al 3% annuo. Il che implica che si potrebbe raddoppiare il nostro PIL pro capite in soli 23 anni. Ora, quando si studia il PIL pro capite dal 1800 ad oggi, quello che si osserva è che dopo la rivoluzione industriale il PIL mondiale pro capite si è moltiplicato per 9 volte, generando un’esplosione di ricchezza che ha fatto uscire dalla povertà il 90% della popolazione mondiale.

Non dobbiamo mai dimenticare che nel 1810 circa il 95% della popolazione mondiale viveva nella più estrema povertà, mentre quel numero è sceso al 5% nel 2020, prima della pandemia. La conclusione è ovvia: lungi dall’essere la causa dei nostri problemi, il capitalismo della libera impresa come sistema economico è l’unico strumento che abbiamo per porre fine alla fame, alla povertà e all’indigenza in tutto il pianeta. L’evidenza empirica è indiscutibile. Quindi, siccome non c’è dubbio che il capitalismo del libero mercato sia superiore in termini produttivi, la sinistra ortodossa ha attaccato il capitalismo per questioni di moralità, per essere, secondo i suoi detrattori, ingiusto.

Dicono che il capitalismo è male perché individualista e che il collettivismo è bene perché altruista e, di conseguenza, lottano per la “giustizia sociale”. Ma questo concetto, che nel Primo mondo è diventato di moda nell’ultimo decennio, nel mio Paese è una costante del discorso politico da oltre 80 anni. Il problema è che la giustizia sociale non solo non è giusta, ma non contribuisce nemmeno al benessere generale. Al contrario, è un’idea intrinsecamente ingiusta, perché violenta. È ingiusto perché lo stato si finanzia attraverso le tasse e le tasse sono riscosse in maniera coattiva. O forse qualcuno di noi può scegliere di non pagare le tasse? Il che significa che lo stato si finanzia attraverso la coazione, e che maggiore è l’onere fiscale, maggiore è la coazione.

I contributi di Hayek e Israel Kirzner dimostrano anche la superiorità morale del capitalismo. Chi promuove la giustizia sociale parte dall’idea che l’economia nel suo complesso sia una torta che può essere distribuita in modo diverso. Ma quella torta non è data, è ricchezza che si genera in quello che Kirzner chiama un processo di scoperta. Se il bene o il servizio offerto da un’azienda non è desiderato, quella azienda fallisce a meno che si adatti a quello che il mercato chiede. Se produce un prodotto di buona qualità a un prezzo attraente, andrà bene e produrrà di più. Quindi il mercato è un processo di scoperta in cui il capitalista trova nel cammino la rotta giusta. Ma se lo Stato punisce il capitalista per avere successo e lo blocca in questo processo di scoperta, distrugge i suoi incentivi, e la conseguenza è che produrrà di meno e la “torta” sarà più piccola, generando un danno all’intera società. Il collettivismo, inibendo questi processi di scoperta e rendendo difficile l’appropriazione di ciò che viene scoperto, lega le mani all’imprenditore e gli impedisce di produrre beni migliori e offrire servizi migliori a un prezzo migliore.

Per ultimo, e non meno importante, il capitalismo è virtuoso perché promuove la pace. “Dove entra il commercio, non entrano i proiettili” diceva Bastiat. O come ha detto lo stesso Milton Friedman: “Posso odiare il mio vicino, ma se non compra il mio prodotto andrò in bancarotta”.

Come può essere quindi che dall’accademia, dalle organizzazioni internazionali, dalla politica e dalla teoria economica, si demonizza un sistema economico che non solo ha tolto il 90% della popolazione mondiale dalla povertà più estrema, ma lo sta facendo sempre più velocemente? Un sistema economico che è anche giusto e moralmente superiore?

Grazie al capitalismo della libera impresa, oggi il mondo vive il suo momento migliore. Non c’è mai stato, nella storia dell’umanità, un momento di maggiore prosperità di quello che viviamo oggi. Il mondo di oggi è più libero, più ricco, più pacifico e più prospero di qualsiasi altro momento della nostra storia. Questo è vero per tutti, ma è particolarmente vero per i Paesi più liberi, dove vengono rispettati la libertà economica e i diritti di proprietà dei singoli.

Perché i Paesi più liberi sono 8 volte più ricchi dei Paesi repressi, il 10% più povero della popolazione dei Paesi liberi vive meglio del 90% della popolazione dei Paesi repressi e, se non basta, i cittadini dei Paesi liberi vivono il 25% in più di quelli dei cittadini dei Paesi repressi.

Ora, per capire cosa veniamo a difendere, è importante definire di cosa parliamo quando parliamo di libertarismo. Per definirlo mi rifaccio alle parole del massimo eroe della libertà del nostro paese, Alberto Benegas Lynch (h), che dice che: “il libertarismo è il rispetto costante del progetto di vita del prossimo, basato sul principio di non aggressione, in difesa della vita, della libertà e della proprietà degli individui, le cui istituzioni fondamentali sono la proprietà privata, i mercati liberi dall’intervento dello Stato, la libera concorrenza, la divisione del lavoro e la cooperazione sociale. Dove solo si può avere successo commercializzando beni di migliore qualità o migliore prezzo.” In altre parole, il capitalista è un benefattore sociale che, lontano dall’appropriarsi della ricchezza altrui, contribuisce al benessere generale. Questo è il modello che proponiamo per l’Argentina del futuro. Un modello basato sui principi fondamentali del libertarismo: la difesa della vita, della libertà e della proprietà.

Ebbene, se il capitalismo della libera impresa e la libertà economica sono stati strumenti straordinari per porre fine alla povertà nel mondo; e siamo oggi nel momento migliore della storia dell’umanità, allora perché dico che l’Occidente è in pericolo? Dico che l’Occidente è in pericolo proprio perché in quei Paesi dove dobbiamo difendere i valori del libero mercato, della proprietà privata e delle altre istituzioni del libertarismo, settori dell’establishment politico ed economico, alcuni per errori nel loro quadro teorico ed altri per ambizione di potere, stanno minando le basi del libertarismo, aprendo le porte al socialismo e potenzialmente condannandoci alla povertà, alla miseria e alla stagnazione. Perché non bisogna mai dimenticare che il socialismo è sempre e ovunque un fenomeno che impoverisce, che ha fallito in ogni paese in cui è stato attuato. È stato un fallimento economico. È stato un fallimento sociale. È stato un fallimento culturale. E, in più, si è portato via la vita di 150 milioni di esseri umani.

Il problema essenziale dell’Occidente oggi è che non solo dobbiamo affrontare coloro che, anche dopo la caduta del muro e la sconvolgente prova empirica, continuano a lottare per il socialismo che impoverisce; ma dobbiamo affrontare anche i nostri leader, pensatori e accademici che, coperti da un quadro teorico sbagliato, minano le fondamenta del sistema che ci ha dato la più grande espansione di ricchezza e prosperità della nostra storia. Il quadro teorico a cui mi riferisco è quello della teoria economica neoclassica, che disegna uno strumento che, involontariamente, finisce per essere funzionale all’intromissione dello Stato, al socialismo e al degrado della società. Il problema dei neoclassici è che, dato che il modello di cui si sono innamorati non si adatta alla realtà, attribuiscono l’errore a presunti fallimenti del mercato invece di rivedere le premesse del loro modello.

Con il pretesto di un presunto fallimento del mercato, vengono introdotte normative che creano solo distorsioni nel sistema dei prezzi, che impediscono il calcolo economico e di conseguenza il risparmio e gli investimenti.

Questo problema sta essenzialmente nel fatto che nemmeno gli economisti presuntamente liberali capiscono cos’è il mercato, perché, se lo comprendessero, vedrebbero presto che è impossibile che esista qualcosa di simile ai fallimenti del mercato. Il mercato non è una curva di domanda e offerta su un grafico. Il mercato è un meccanismo di cooperazione sociale dove si scambiano volontariamente diritti di proprietà. Data questa definizione, il fallimento del mercato è un ossimoro.

Se le operazioni sono volontarie, l’unico contesto in cui può esserci un fallimento del mercato è se c’è coercizione. E l’unico che ha la capacità di costringere in modo generalizzato è lo Stato che ha il monopolio della violenza.

Di conseguenza, se qualcuno ritenesse che ci sia un fallimento del mercato, gli raccomanderei di verificare se ci sia stato un intervento dello Stato. E se scoprisse che non ci sia stato, gli consiglierei di verificare di nuovo, perché evidentemente ha sbagliato.

Un esempio dei fallimenti presunti del mercato descritti dai neoclassici sono le strutture concentrate dell’economia. Tuttavia, è proprio l’accumulo di capitale a spiegare la crescita esponenziale del PIL mondiale negli ultimi 200 anni. Perché è l’accumulo di capitale e la divisione del lavoro che consentono di aumentare la produttività e ottenere rendimenti di scala crescenti.

Ricordiamo l’esempio di Adam Smith: chi si propone di produrre spille da solo, pur essendo un esperto in materia, può produrne soltanto 20 al giorno. Ma assumendo 15 dipendenti e coordinandoli con la divisione del lavoro, la produzione pro capite aumenta. E non aumenta a 300 spille complessive al giorno, ma a 5000. Perché non aumenta in maniera lineare ma esponenziale. Senza funzioni di rendimento crescente di scala, al cui opposto sono le strutture centralizzate dell’economia, non si potrebbe spiegare la crescita economica dal 1800 ad oggi.

Altri presunti fallimenti del mercato che per gli economisti neoclassici finiscono per giustificare l’intervento dello Stato nell’economia sono beni pubblici, esternalità negative, asimmetria informativa e fallimenti di coordinamento. Il dilemma che il modello neoclassico affronta è che dicono di voler perfezionare il funzionamento del mercato correggendo quelli che considerano difetti, ma così facendo non solo aprono le porte al socialismo ma ostacolano la crescita economica.

In altre parole, ogni volta che volete correggere un presunto fallimento del mercato, inesorabilmente, per non conoscere cos’è il mercato o perché innamorati di un modello fallito, state aprendo le porte al socialismo e state condannando il popolo alla povertà. Comunque, a fronte della dimostrazione teorica che l’intervento dello Stato è dannoso, e dell’evidenza empirica che esso ha fallito – perché non potrebbe essere altrimenti – la soluzione che proporranno i collettivisti non è una maggiore libertà ma una maggiore regolamentazione, che genera una spirale di regolamentazioni fino a che tutti saremo più poveri e la vita di tutti noi dipenderà da un burocrate seduto in un ufficio di lusso.

Dato il fallimento permanente dei modelli collettivisti e gli innegabili progressi del mondo libero, i socialisti sono stati costretti a cambiare il loro ordine. Hanno abbandonato la lotta di classe basata sul sistema economico per sostituirla con altri presunti conflitti sociali ugualmente dannosi per la vita comunitaria e la crescita economica.

La prima di queste nuove battaglie è stata la lotta ridicola e innaturale tra l’uomo e la donna. Il libertarismo stabilisce già l’uguaglianza tra i sessi. La pietra angolare del nostro credo dice che tutti gli uomini sono creati uguali, che tutti abbiamo gli stessi diritti inalienabili concessi dal creatore, tra i quali la vita, la libertà e la proprietà. Questa agenda del femminismo radicale ha causato un maggiore intervento dello Stato per ostacolare il processo economico e ha dato lavoro a burocrati che non contribuiscono per nulla al benessere della società, sia nella forma di ministeri delle pari opportunità femminili che in quella di organismi internazionali dedicati alla promozione di questa agenda.

Un altro dei conflitti che i socialisti sollevano è quello dell’uomo contro la natura. Sostengono che gli esseri umani danneggiano il pianeta, che va protetto a tutti i costi, fino a difendere i meccanismi di controllo della popolazione o la tragedia dell’aborto. La cosa più crudele dell’agenda ambientale è che i Paesi ricchi, che sono diventati ricchi sfruttando legittimamente le loro risorse naturali, cercano ora di espiare la propria colpa punendo i Paesi più poveri e impedendo loro di sviluppare le loro economie, condannandoli per un presunto crimine che non hanno commesso.

Purtroppo, queste idee dannose si sono fortemente radicate nella nostra società. I neomarxisti hanno saputo cooptare il senso comune dell’Occidente. Ci sono arrivati grazie all’appropriazione dei media, della cultura, delle università e sì, anche delle organizzazioni internazionali. Questo ultimo caso è forse il più grave, perché si tratta di istituzioni che hanno un’enorme influenza sulle decisioni politiche ed economiche dei Paesi che compongono questi organismi multilaterali.

Per fortuna, sempre più di noi osano alzare la voce. Perché vediamo che se non combatteremo frontalmente queste idee, l’unico esito possibile è che avremo sempre più Stato, più regolamentazione, più socialismo, più povertà, meno libertà e, di conseguenza, un peggiore livello di vita.

L’Occidente, purtroppo, ha già iniziato a percorrere questa strada. So che a molti può sembrare ridicolo dire che l’Occidente si è convertito al socialismo. Ma è ridicolo solo nella misura in cui ci si limita alla tradizionale definizione economica di socialismo, che prevede che si tratta di un sistema economico in cui lo Stato è proprietario dei mezzi di produzione. Questa definizione dovrebbe essere, per noi, aggiornata alle circostanze attuali. Oggi gli Stati non hanno bisogno di controllare direttamente i mezzi di produzione per controllare ogni aspetto della vita degli individui. Con strumenti quali l’emissione monetaria, il debito, i sussidi, il controllo del tasso di interesse, il controllo dei prezzi e la regolamentazione per correggere presunti “fallimenti del mercato”, possono controllare i destini di milioni di esseri umani.

Ecco come arriviamo al punto in cui – con nomi o forme diverse – buona parte delle offerte politiche generalmente accettate nella maggior parte dei Paesi Occidentali sono varianti collettiviste. Sia che si dichiarino apertamente comunisti, sia socialisti, socialdemocratici, democratici cristiani, neokeynesiani, progressisti, populisti, nazionalisti o globalisti.

In fondo non ci sono differenze sostanziali: tutti sostengono che lo Stato dovrebbe dirigere tutti gli aspetti della vita degli individui. Tutti difendono un modello contrario a quello che ha portato l’umanità al progresso più spettacolare della sua storia.

Veniamo qui oggi per invitare gli altri Paesi dell’Occidente a ritornare sul cammino della prosperità. La libertà economica, il governo limitato e il rispetto illimitato della proprietà privata sono elementi essenziali per la crescita economica.

Questo fenomeno di impoverimento prodotto dal collettivismo non è una fantasia. Nemmeno fatalismo. È una realtà che noi argentini conosciamo molto bene. Perché lo abbiamo già vissuto. Abbiamo già sofferto per questo. Perché, come ho detto prima, da quando abbiamo deciso di abbandonare il modello di libertà che ci aveva reso ricchi, siamo intrappolati in una spirale di ribasso dove ogni giorno siamo più poveri.

Un paese che all’inizio del XX secolo era il paese più ricco del mondo, oggi ha circa il 50% della popolazione al di sotto della soglia di povertà e conta il 10% di indigenti, quando l’Argentina è un paese che produce alimenti per 400 milioni di esseri umani. Dove finisce tutto quel cibo? La risposta è che lo Stato si appropria del 70% di ciò che viene prodotto, cioè lo Stato trattiene il cibo per 280 milioni di persone, e tuttavia ci sono 5 milioni di argentini che non mangiano. Lo abbiamo già vissuto. E siamo qui per avvertirvi su cosa potrebbe accadere se i Paesi dell’Occidente, diventati ricchi con il modello della libertà, continueranno su questa strada di servitù. Il caso argentino è la dimostrazione empirica che non importa quanto sei ricco, quante risorse naturali hai, non importa quanto sia istruita la popolazione, o quanto sia educata, o quanti lingotti d’oro ci siano nelle casse della banca centrale. Se vengono adottate misure che ostacolano il libero funzionamento dei mercati, la libera concorrenza, i liberi sistemi di prezzi, se viene ostacolato il commercio, se viene attaccata la proprietà privata, l’unica destinazione possibile è la povertà.

In Argentina diciamo solitamente che il nostro Paese va sempre contromano del mondo. Oggi abbracciamo di nuovo, dopo cent’anni di penombra, il modello della libertà. Spero che questa volta l’Argentina e il mondo percorrano insieme la strada verso la prosperità. Voglio infine lasciare un messaggio a tutti gli imprenditori qui presenti e a chi ci guarda da ogni angolo del pianeta.

Non  lasciatevi intimorire. Non arrendetevi a una classe politica che vuole solo perpetuarsi al potere. Siete benefattori sociali. Siete eroi. Siete i creatori del periodo di prosperità più straordinario che abbiamo mai vissuto. Nessuno vi dica che la vostra ambizione è immorale. Se guadagnate, è perché offrite un prodotto migliore a un prezzo migliore, contribuendo così al benessere generale. Siete i veri protagonisti di questa storia, e sapete che da oggi avete un incredibile alleato nella Repubblica Argentina.

Viva la libertà, cazzo!»

Fonti: Carmen Tortora / Andrea Lombardi

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