Attacco Iran a Israele? Tutto falso secondo Orsini (video integrale)
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L’attacco dell’Iran contro Israele non solo è «finto», ma è stato addirittura «coordinato» con gli stessi israeliani e con gli Stati Uniti. A sostenerlo è il professor Alessandro Orsini, sociologo e docente di Sociologia del terrorismo. In un video pubblicato sul suo canale YouTube, l’esperto sostiene che nelle «lunghe conversazioni telefoniche» che ci sono state tra la Casa Bianca e il governo iraniano, quest’ultimo avrebbe spiegato che avrebbe condotto, appunto, un finto attacco contro Israele, indicando pure la «traiettoria dei droni e dei missili affinché gli americani e gli israeliani potessero intercettarli facilmente».

Questo il motivo per il quale la difesa israeliana è riuscita a intercettare il 99% dei droni e dei missili. La logica dietro questo finto attacco, sostiene Alessandro Orsini, è «spostare le attenzioni dal massacro di Gaza verso i pericoli per l’Occidente». Il docente parla di una «grandissima buffonata» durante la quale «i bambini di Gaza vengono continuamente massacrati da Israele». In questo massacro sono coinvolti, secondo Orsini, UsaCommissione Ue e Israele.

Avevate avuto paura della terza guerra mondiale? Tranquilli: è bell’e finita. L’Iran ha comunicato di aver concluso l’operazione contro Israele e che non ce ne saranno altre.

D’altronde si chiamava “True promise”, e già dal nome si capiva: bisognava far contento il popolo iraniano e dagli una caramellina.

Tutto ciò mi ricorda un’altra operazione di qualche anno fa. I giornali tuonarono la grancassa contro un (falso) “attacco chimico” di Assad a Idlib, e Trump dette l’ordine di rispondere. Furono tirati un po’ di missili in un campo di patate, vendetta compiuta e giornali zittiti.

Anche “Repubblica” conferma la tesi di Orsini

Estratto dell’articolo di Gabriella Colarusso per “la Repubblica”

[…] Entrando nell’arena attiva del conflitto, la Repubblica Islamica espone il Paese a una futura reazione militare. Ne sono consapevoli gli stessi generali che hanno pianificato l’operazione cercando di far sì che fosse una dimostrazione di forza ma con un impatto controllato.

Il tentativo di evitare l’escalation verso una guerra aperta con Israele è passato soprattutto dal dialogo con gli americani. In almeno quattro momenti, dal 2 aprile, gli iraniani hanno scambiato messaggi indiretti con Washington, confermano a Repubblica due fonti governative iraniane.

Il primo messaggio è stato trasmesso già il 2 aprile all’incaricato d’affari svizzero a Teheran. Gli iraniani protestavano per il raid israeliano, promettendo una risposta veloce e chiedendo agli americani di restarne fuori. In quel momento sarebbe stato stabilito anche un canale diretto congli Usa da parte di una “entità governativa” di Teheran. Negli scambi successivi gli iraniani hanno messo sul tavolo richieste politiche: la tregua a Gaza e, secondo fonti di Reuters, anche una ripresa dei colloqui sul nucleare. Ma non solo.

Domenica scorsa in Oman gli emissari di Teheran hanno indicato quali sarebbero stati gli obiettivi dell’attacco, militari e non civili, facendo arrivare il messaggio che le alture del Golan erano un possibile target. Altri scambi sono avvenuti attraverso i contatti con i turchi e ciprioti, quest’ultimi informati pure poco prima dell’inizio dell’attacco.

Un ruolo cruciale l’ha avuto l’Iraq. Una fonte dice a Repubblica che il premier iracheno, Al Sudani, che in questi giorni era a Washington, è stato avvertito 48 ore prima dell’attacco e ha informato gli americani della «portata dell’operazione e della tempistica». E ieri è stato lo stesso ministro degli Esteri iraniano Abdollahian a confermare di aver «avvisato i nostri vicini 72 ore prima». Una ricostruzione, questa, che ieri sera Casa Bianca e Pentagono hanno smentito: i contatti ci sono stati, confermano, ma non è vero che l’Iran ha avvertito in anticipo dell’attacco.

«Gli iraniani hanno fatto una operazione in grande stile lanciando oltre 200 tra droni e missili – dice Divsallar – che ha mostrato le capacità militari del Paese, ma l’hanno fatta coordinandosi e senza giocare sul fattore sorpresa per ridurre l’impatto dell’attacco. Dovevano bilanciare due esigenze diverse: ripristinare la deterrenza e cercare di evitare una guerra aperta».

Fonte: DC NEWS

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