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Il parere di Sinagra sulla Magistratura italiana. Strumento di giustizia o potere politico?

Nel presente momento storico è indubitabile che la magistratura italiana si attesti nel punto più basso della sua storia in termini di affidabilità e credibilità da parte dei cittadini.

Le cause di questo tracollo fiduciario della magistratura in Italia sono plurime e differenti, e tra queste sicuramente vi sono anche gli strumenti di selezione dei giudici. I quali sempre più e sempre in numero crescente, evidenziano insufficienze professionali oltre che comportamentali.

Al riguardo, basta il semplice raffronto con quel che era la magistratura italiana 40/50 anni fa.

La causa principale, a mio avviso, della disaffezione dei cittadini nei confronti dei giudici (fino al limite della diffidenza e del “non volerci avere a che fare”) risiede nella attitudine della magistratura di autoconsiderarsi un soggetto politico espressivo di funzioni pari a quelle legislative o esecutive del governo.

Basta osservare la continuativa attività sostanzialmente metapolitica svolta dalla Associazione Nazionale Magistrati, cioè una associazione privata non senza motivo definita “il sindacato delle toghe”; e cioè nel senso spregiativo della espressione sistemica del corporativismo che pure ebbe e potrebbe avere ancora una sua dignità.

Il riscontro a tali conati politici da parte della magistratura nel suo insieme, lo si rinviene nell’azione del Consiglio Superiore della Magistratura.

Il quale esplica le sue competenze ben oltre i limiti che la Costituzione ad esso assegna.

Tuttavia, la posizione della magistratura che crede di essere un “potere” mentre la Costituzione lo definisce “ordine”, è intrinsecamente contraddittoria poiché da una parte essa tende ad interferire negli affari politici e di amministrazione generale dello Stato ma nello stesso tempo, e già dai tempi dell’unità d’Italia, passando attraverso il Fascismo, e fino ai tempi attuali in modo crescente, la magistratura tradizionalmente e storicamente tende in larga parte dei suoi componenti e nell’esercizio delle sue funzioni, a compiacere il potere governativo o qualsiasi altra forma di potere nazionale o extranazionale; oltre che centri di potere difficilmente qualificabili in modo diverso, come il “potere” della stampa (il famoso “quarto potere”).

I riscontri storici attingono anche a esperienze giurisdizionali non più esistenti:

Il Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato lungi dall’occuparsi di fatti lesivi o potenzialmente lesivi della difesa dello Stato, si attardava a perseguire insulti e vilipendi, barzellette, frizzi e lazzi rivolti al Capo del Governo dell’epoca che dovette intervenire personalmente per rimettere l’organismo giudiziario in questione nell’alveo delle sue competenze istituzionali.

Sulla denunciata tendenza di larga parte della magistratura a compiacere il potere governativo non mancano certamente numerosi esempi ricavabili dalla attualità.

Anche  per il passato gli esempi non mancano.

Fu un magistrato a presiedere l’ignominia del “Tribunale della Razza”, cosa che non gli impedì poi di assumere la presidenza della Corte costituzionale.

Fu un magistrato poi assurto alla presidenza della Corte di Cassazione a enunciare in un suo scritto “giuridico”, il principio secondo il quale le Circolari del Duce avevano “vigore di legge”.

La ragione di tale diffuso e istintivo compiacimento di molta parte della magistratura verso il “potere” ha radici profonde.

Non senza ragione il grande pensatore anarchico Francesco Saverio Merlino ebbe a scrivere che “i giudici non vanno difesi dal timore, ma dalla speranza”.

Le storture funzionali di molta parte della magistratura oggi si presentano sotto differente aspetto e con non chiare finalità.

Mi riferisco alla Corte di Cassazione che ormai già da tempo è venuta meno alla sua funzione nomofilattica nella interpretazione e applicazione delle leggi.

Fu osservato icasticamente come la giurisprudenza della Corte di Cassazione è un po’ come un grande magazzino: ci si trova tutto e il contrario di tutto.

Ma questo non è tutto e non è questa la cosa più grave. La cosa più grave è l’uso molto spesso arbitrario e formalmente finalizzato ad un effetto deflattivo dei ricorsi alla Corte di Cassazione, dello strumento della “inammissibilità”.

L’esperienza purtroppo quotidiana nello svolgersi della giurisprudenza di legittimità mostra come molto spesso (troppo spesso) si fa ricorso allo strumento della inammissibilità per finalità oggettivamente differenti da quelle (comunque illegittime e in ogni caso ingiustificabili) di indurre un effetto deflattivo del ricorso ai giudici di legittimità.

Il problema è che l’abuso dello strumento della inammissibilità determina la possibilità di compiere qualsiasi arbitrio sia a beneficio che in pregiudizio del cittadino ricorrente.

Il riscontro a quanto precede è di molto facile individuazione: basta mettere a raffronto il numero di inammissibilità (sia in sede civile che penale) dichiarate per i ricorsi presentati da soggetti privati e il numero di inammissibilità dichiarate nei confronti dei ricorsi delle Procure Generali della Repubblica presso le Corti di Appello.

Proseguendo in tal modo la Corte di Cassazione abolirà sé stessa.

Augusto Sinagra

Augusto Sinagra, nato a Catania il 18 agosto 1941, dal 1965 al 1980 è stato magistrato ordinario. Dal 1980 fino al 2013 è stato professore ordinario di diritto internazionale, prima, e diritto dell’Unione Europea, dopo, presso l’università “Sapienza” di Roma. Ha tenuto corsi in molte università straniere. Dal 1999 è direttore della Rivista della Cooperazione Giuridica Internazionale.

Fonte: fisisindacato

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