LA SISTEMATICA CENSURA DI SANREMO
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Con acume, il cantante Mengoni ha definito la manifestazione canora di Sanremo il Capodanno della musica italiana. Dietro a questo evento trasmesso in tutto il mondo c’è un vasto lavoro invisibile che si basa sulla capacità professionale di maestranze nel settore tecnico, artigianale, logistico e musicale. Un’attività che si sviluppa durante l’anno. L’immagine proiettata all’estero esporta un popolo socievole che ama eventi collettivi che sono l’occasione di evidenziare potenzialità artistiche ma soprattutto di natura sociologica. Un materiale che puntualmente scatena approvazioni ma anche critiche che fanno emergere dall’ombra conflitti e disaccordi legati spesso alla spartizione di denaro. Insomma, la solita attività di retrobottega avente aspetti ignobili e riccamente inframmezzati da fraterne pugnalate alle spalle. Insomma, nulla di nuovo ma ogni anno con una ferocia accresciuta.

La sociologia, ma soprattutto gli antropologi potrebbero offrire varie interpretazioni del fenomeno collettivo che cattura l’attenzione di una vasta parte di un popolo generoso ma particolarmente severo nell’arte della vendetta che si compie nel corso dell’anno susseguente. Ma tali specialisti non sembrano avere una particolare inclinazione ad analizzare la kermesse nazional-popolare, quasi fosse una degradazione, un compito non scientifico. Accade che il loro compito venga svolto dal popolo dei giornalisti, dagli psicologi, dagli opinionisti, talvolta dai politici, se vi ravvisano tornaconti elettorali, dagli economisti, dalle società di misurazione degli umori e malumori della popolazione, dai nostri beneamati Servizi presenti ovunque con somma discrezione.

Spetta ad altri valutare, con visuali inevitabilmente di parte, la qualità dell’offerta artistica. Ogni anno assistiamo ad uno spostamento delle “preferenze tematiche” sovente a danno della intelligibilità dei contenuti. Parole biascicate, urla inconsulte, abbigliamento più o meno paludato e talvolta estremo che fa l’occhiolino a sollecitazioni simil-erotiche catturate da telecamere turbinanti e da sceneggiature fantascientifiche. Lo spettacolo deve continuare alimentando il filone del sensazionalismo. Lo scintillio, in apparenza fine a sé stesso, è in realtà orientato alla gestione e all’incremento dell’enorme giro di affari pubblicitari garantiti da aziende che hanno fiutato la valenza informativa di un canale, dalle case discografiche, dai canali distributivi di brani musicali in rete. La pressione dei committenti economici e finanziari scatena enormi appetiti e determina comportamenti che quest’anno hanno coinvolto pesantemente il prestigio artistico di qualche invitato famoso, con lo zelante e pagatissimo operato del direttore artistico di turno.

Il fenomeno rutilante e fantasmagorico è tuttavia condizionato anche e soprattutto dalla psicopolizia censoria. Mi riferisco ai “controllori “che hanno avuto il compito – ben eseguito – di falciare ogni opinione sociale che non sia conforme al pensiero unico buonista inclusivo (ad intermittenza e con chi vogliono loro) allineato alla teologia del quadrante angloamericano impostoci da patti scellerati dal 1947 ad oggi. Ecco che le abilissime telecamere che eseguono normali panoramiche sul pubblico improvvisamente “staccano” la ripresa laddove incontrano cartelli che esortano ad una fine del genocidio palestinese che non è conforme all’attuale schieramento geopolitico in cui si colloca la ex-italia attuando scelte verticistiche che continuano ad escludere il valore democratico di gran parte della popolazione italiana eseguendo scientificamente e servilmente le disposizioni esecutive inviate al nostro governo dagli indirizzi romani di via Veneto 121 e di via XX Settembre 80

Il palco di Sanremo è comunque una postazione di grande visibilità che i pasdaran artistici amministrano con servile e gelida abilità. Lo abbiamo verificato con la feroce censura delle esortazioni alla pace e alla fine del genocidio a Gaza. Viene invece garantito ampio spazio a sceneggiate che criticano il maschio bianco adatto solo alla riproduzione. Un messaggio che promuove il conflitto indotto e oramai endemico tra i sessi.

Una tensione in corso in Occidente con punte di guerra civile. Una sparata “artistica” realizzata con un ampio utilizzo di tempo e, guarda caso, ad un orario che garantiva la punta massima di ascolto.  Un preciso cantante, e non era il solo, è stato “indotto” a ritrattare pubblicamente la sua esortazione del giorno prima alla pace a Gaza e in altri luoghi incandescenti del mondo. Negli spazi fuori festival, famosi personaggi, arruolati dal ridetto abilissimo “direttore artistico”, affermavano che la ex-italia è una colonia americana che deve farsi una ragione della propria smaccata subalternità.

Nonostante il ferreo controllo, qualche cantante ha avuto il coraggio di pronunciare all’improvviso la parola “pace” che è diventata un lemma proibito, antiglobalista non allineato con il vangelo atlantista l’attuale assetto geopolitico in cui è ingabbiato il vecchio continente che ha offerto spontaneamente la propria testa al cestino della ghigliottina. Il famoso personaggio forse si salverà dalla ghigliottina buonista perché è riuscita a diffondere al mondo il pensiero contro il maschio bianco da sterminare. Ripeto, forse si salverà.

Non lo sapremo, ma ci saranno conseguenze discriminatorie e punitive ai danni di tutti colo che hanno espresso un legittimo desiderio di pace, peraltro garantito dalla nostra Costituzione definita la più bella del mondo ma che diventa carta straccia se minimamente intacca i dettami del Sinedrio buonista mondiale. Uno per uno saranno colpiti in modo strisciante, non subito per non farla sporca. Le loro opportunità artistiche saranno gradualmente diradate fino al confinamento nell’oblio garantito dal martellante sciame sensoriale di una “società dello spettacolo” che gestisce gli idoli creati in laboratorio con il solito cinico criterio dell’usa e getta rapido e ricorsivo.

Queste persone non avranno più accesso ai canali di comunicazione. A loro sarà riservata la sperimentatissima “damnatio memoriæ”: una pratica antica che è sempre di moda e scientificamente applicata dai canali internet alla chetichella. Essi non buttano fuori più nessuno dopo aver perso moltissime cause nei tribunali. Relegano “in basso” la visibilità dei contributi dei profili registrati, e lo dicono pure apertamente alle vittime colpite. I nuovi Gulag sono costituiti dalla “irrilevanza elettronica”, poi il silenzio tombale. L’edonismo di massa è comunque salvato.

La manifestazione canora nazionale sta diventando sempre più il terreno di sperimentazione censoria e punitiva elevata a sistema.  Si tratta di una deriva pericolosa che contribuisce ad ingessare lo svolgimento della vita democratica del nostro sfortunato Paese.

Continuiamo a far finta di non saperlo ricordando il mantra ripetuto da un noto giornalista: “I politici che fanno?”

Fonte: La Pekora Nera

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