Aziendalizzazione
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La “banalità” della aziendalizzazione/governance.


16 GEN
 – Gentile Direttore,
la riflessione vorrebbe concentrarsi sul tema degli esiti che possono derivare da processi decisionali assunti ideologicamente e con una scarsa consapevolezza relativa alle conseguenze nel medio/lungo periodo.

Pare questa oggi la condizione del SSN: quella di dover considerare appunto le conseguenze.

Alcuni dati di fatto relativi al fenomeno di causa/effetto in sanità (aziendalizzazione, organizzazione manageriale, governance …), sembrano incontrovertibili e vengono reiterati come fossero miti inconfutabili.

Le recenti normative definite “riforme” (es.: DM77 e imminente ACN) non apportano nessuna sostanziale innovazione. Paradossalmente sembrano amplificare le contraddizioni e le differenziazioni.

Un grande malessere serpeggia quindi all’interno di una organizzazione dedicata, istituzionalmente, al benessere. Il disagio condiziona soprattutto l’operatività dei professionisti e la fiducia degli utenti.

Il sospetto è che, per qualche ragione, sia stato smarrito il quadro generale (complessità) a causa di una frenesia orientata al raggiungimento di obiettivi soprattutto economicistici (linearità).

Aziendalizzazione

È malinconico e anche noioso reiterare sempre i soliti esempi appartenenti alla galleria delle profezie fallimentari auto avverantesi:

le Case della Comunità generatrici di una babele di disparità assistenziali e professionali;

gli ospedali di comunità (OSCO) tutt’altro che di comunità;

i cacofonici CAU forse causa di ulteriori desertificazioni enigmatiche dei servizi territoriali.

Eppure le recenti esperienze avrebbero dovuto suggerire la necessità di abbandonare completamente modalità organizzative frettolose up-down che continuano a coinvolgere professionisti e utenti immancabilmente ex-post.

Per troppo tempo si è assistito al paradosso di vedere il Servizio Sanitario Nazionale o il territorio o la medicina generale di base ostaggio di un Sistema Sanitario Nazionale e Regionale ossessivamente amministrato (con risultati pessimi).

Non sarebbe una cattiva idea se nascesse l’ambizione da parte dei vertici istituzionali del SSN, pur a normativa corrente, di cercare comunque di avviare un comitato di salute pubblica, molto contenuto nel numero dei componenti, che possa elaborare una proposta culturale contenente alcuni elementi fondamentali a supporto di una reale riforma sanitaria coerente al contesto sociale.

Così come è basilare individuare un nuovo baricentro assistenziale territoriale.

Basato sulle piccole comunità o sui consorzi o sulle storiche USL e, contemporaneamente, dovrebbe essere attivato un programma di deregulation delle Aziende AUSL.

Tutto ciò potrebbe apparire semplicemente velleitario.

Dipende dai paradigmi di riferimento concepiti (quarta riforma, compossibilità…).

Recentemente per il tema dell’Intelligenza artificiale e per le reti generative sono stati coinvolti, in tempi brevi, studiosi a prova di curriculum sia in istituzioni nazionali che europee.

Sarebbe altrettanto auspicabile che le “pietre angolari” di una rinnovata cultura sanitaria della complessità possano coinvolgere ed appassionare operatori del settore che siano anche ferrati in filosofia della scienza e della medicina e studiosi dell’organizzazione sanitaria.

Come una “road map” ben calendarizzata potrebbe apparire essenziale, così dovrebbe esserlo anche il dibattito pubblico.

In generale si può affermare che le distanze culturali e sociali tra le persone e gli attuali decisori siano gigantesche.

In un contesto simile è comprensibile che nei cittadini possa crescere l’ansia a causa di una profonda incertezza culturale e psicologica nei confronti della “galassia salute”.

La conseguenza è che le persone sono così portate a chiedere tutto.

Non si tratta, solo, di una educazione sanitaria carente ma la percezione è che venga a mancare un supporto percepito come ontologico, essenziale per l’essere o per la vita.

A livello professionale le finte riforme recentemente pubblicate (a tutti gli effetti controriforme), propagandano, in modo unilaterale, la ricetta perfetta per una organizzazione assistenziale che tende al consumismo amministrativo sanitario lineare, performante.

L’efficienza e l’efficacia sono gli storici idoli economicistici.

La misurazione non può essere considerata l’obiettivo fondamentale per la promozione della salute (sistema complesso).

La linearità fideistica rende l’assistenza territoriale di base standardizzata, anonima e il mmg uno schiavo “inumano tecnologico” (Sennet R. 2009).

Il consumismo istituzionalizzato enfatizza e strumentalizza anche la salute (spesso identificata dalle persone come guarigione o completa risoluzione dei problemi).

La relazione di cura tenta invece di ricercare, insieme, la più percorribile omeostasi qualitativa per quel momento pur riconoscendo di operare in un universo di incertezza e imprevedibilità.

I sanitari territoriali lamentano (basterebbe ascoltarli) che le loro attività siano costantemente esposte agli effetti, a volte perversi, dovuti ai cambiamenti burocratici/organizzativi/gestionali imposti dalla classe dirigente aziendale nella quale non si riconoscono.

Tuttavia questi professionisti riescono ancora a fare la differenza quando si confrontano liberamente tra di loro, con i pazienti, con le loro famiglie e con le comunità.

Il futuro è strettamente collegato alla cultura che può nascere in questa area “periferica” dimenticata dal sistema verticistico e dalla sanità amministrata.


Bruno Agnetti

Centro Studi Programmazione Sanitaria (CSPS) di Comunità Solidale Parma ODV

Fonte: quotidianosanità

Inter

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