Allevamenti intensivi
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Il governo olandese vuole chiudere gli allevamenti intensivi, fra le proteste – #627

L’Olanda vuole chiudere gli allevamenti intensivi, fra le proteste – #627

Il governo olandese vuole chiudere gli allevamenti intensivi, fra le proteste

Ma che ci dice molto sulle sfide della transizione ecologica che abbiamo davanti, e sui cortocircuiti che rischiano di crearsi se non le affrontiamo nella maniera corretta.

In breve la storia è cheIl governo olandese vuole chiudere gli allevamenti intensivi, fra le proteste e dell’agricoltura intensiva, o perlomeno di una loro parte, per uniformarsi alle normative europee e che questo piano sta suscitando delle enormi proteste in un paese che proprio su questi settori fonda un pezzo non indifferente della sua economia e della sua occupazione. 

Scrive James Crisp sul Telegraph:

“Il governo olandese intende acquistare e chiudere fino a 3.000 aziende agricole in prossimità di aree sensibili dal punto di vista ambientale per conformarsi alle norme dell’UE sulla conservazione della natura. I Paesi Bassi stanno cercando di ridurre l’inquinamento da azoto e procederanno all’acquisto obbligatorio se non ci sarà un numero sufficiente di aziende agricole che aderiranno volontariamente all’offerta. 

Agli agricoltori verrà offerto un accordo “ben superiore” al valore dell’azienda, secondo il piano del governo che mira alla chiusura di 2.000-3.000 aziende agricole o di altre attività maggiormente inquinanti. Le prime versioni trapelate del piano indicavano una cifra pari al 120% del valore dell’azienda agricola, ma questa cifra non è ancora stata confermata dai ministri. 

I Paesi Bassi devono ridurre le proprie emissioni per conformarsi alle norme di conservazione dell’UE e gli allevamenti sono responsabili di quasi la metà dell’azoto emesso. L’agenzia olandese per l’ambiente ha avvertito che le specie autoctone stanno scomparendo più velocemente nei Paesi Bassi che nel resto d’Europa e che la biodiversità è in pericolo. 

Negli ultimi tre anni, gli agricoltori e gli allevatori olandesi hanno organizzato proteste di massa, bruciato balle di fieno, scaricato letame sulle autostrade e picchettato le case dei ministri. Il mese scorso, un esercito di migliaia di trattori è sceso in strada per protestare e ha causato la peggiore ora di punta della storia olandese, con 700 miglia di ingorghi al culmine”. 

In pratica l’idea del governo oandese è quella di proporsi di acquistare a un prezzo maggiorato le aziende in questione, nella speranza che almeno 3mila allevatori accettino di vendere la propria.

In caso contrario, cosa ritenuta abbastanza probabile, si ipotizza di obbligare gli allevatori a vendere. 

Questo piano, che da tanti punti di vista è un piano sensato, come dicevamo sta suscitando proteste crescenti, e il motivo è presto detto.

Scrive Gregoire Lory su Euronews:

“Con le sue 53 mila aziende e la sua produzione intensiva, i Paesi Bassi sono il secondo esportatore di bestiame al mondo. Il 10% dell’economia nazionale dipende da questo settore. Se il piano verrà attuato per filo e per segno, le aziende agricole dovranno tagliare le proprie emissioni del 70%, o anche di più secondo alcune stime. In altre parole, questa potrebbe essere la fine per alcuni agricoltori che dovranno ridurre il bestiame, dato che è una delle principali fonti di emissioni di azoto a causa del letame e dei fertilizzanti artificiali utilizzati”.

Insomma, la misura del governo in sé è di buon senso, coraggiosa, necessaria, ma non tiene conto del fatto che tante persone in quel paese dipendono da quel settore.

E allora succede che iniziano a montare le proteste.

Questo accade già a partire dal 2019, ma prende sempre più forma – e sostanza – anno dopo anno.

Al punto che oggi il movimento degli allevatori e agricoltori è diventato un vero e proprio partito, e nemmeno troppo di nicchia.

Scrive sul Guardian Senay Boztas:

“L’antica parola olandese noaberschap indica una parentela di campagna in base alla quale i contadini si aiutavano a vicenda in caso di calamità. Ora il concetto di parentela tra vicini viene riproposto nei Paesi Bassi da un partito politico chiamato BoerBurgerBeweging (BBB) – che significa Movimento dei Cittadini Agricoltori – che sta guadagnando sempre più attenzione nel “piccolo Paese che nutre il mondo”.

Alle elezioni provinciali del prossimo anno, che decideranno anche la rappresentanza nel Senato olandese, o Eerste Kamer, il BBB schiera più di 300 candidati in tutte le 12 province.

Nei recenti sondaggi, il partito si colloca al quarto posto tra i 17 partiti principali dei Paesi Bassi.

Ma la rapida ascesa di un partito a favore dell’agricoltura, in un Paese in cui sono in corso tentativi disperati di ridurre l’inquinamento prodotto dagli allevamenti, illustra uno sviluppo politico che potrebbe essere replicato altrove, dicono gli osservatori.

Un movimento che dice di parlare per la gente comune, lontano dal centro del potere, il cui appeal va oltre il settore agricolo. Nella frammentata arena politica olandese, dove la fiducia nei politici è ai minimi storici, il BBB di centro-destra ha fatto molto rumore come “voce della e per la campagna”.

L’articolo è molto lungo e dettagliato, e spiega come la fortuna di questo giovane partito sia andata di pari passo con l’aumentare delle proteste contro la decisione del governo.

Il partito si vanta di aver attinto soprattutto dal bacino degli astenuti, e si rifà a un’idea di campagna e buon vicinato, di semplicità, di tradizionalismo.

Mi colpiscono diversi aspetti di questa notizia, che mi hanno convinto a darla come prima della giornata.

Innanzitutto il fatto che due idee che tradizionalmente appartengono all’immaginario ambientalista, quella della vita di campagna e della sua tutela e quella della necessità di ridurre le emissioni, vadano a cozzare fra loro in maniera fragorosa, in un classico esempio di falso dilemma. 

Non c’è nessuna antitesi reale fra la necessità di ridurre, fino a eliminare, gli allevamenti intensivi, la tutela della campagna e dei suoi ritmi lenti, delle sue relazioni di prossimità.

Anzi, gli allevamenti intensivi e l’agricoltura industriale sono probabilmente, nel medio -lungo termine, il rischio maggiore anche per la campagna stessa.

Insomma, il modo in cui la questione viene presentata politicamente è pura demagogia, seppur suggestiva.

Qui la questione è un’altra e ha a che fare – come spesso accade quando si parla di transizione ecologica – il reddito e con i sistemi decisionali.

Non si può decidere di far chiudere gli allevamenti intensivi – ripeto, misura sacrosanta e necessaria – senza porsi il problema di chi dipende da quel tipo di lavoro per il proprio reddito.

Né si può farlo senza coinvolgere in qualche forma gli allevatori stessi nella decisione.

La stessa identica decisione ha un valore e delle conseguenze completamente diverse se noi contribuiamo a prenderla, con responsabilità, o se invece ce la vediamo imposta dall’alto.

Insomma, questa storia mostra in maniera chiara che servono strumenti nuovi di finanza sociale e di governance collaborativa se vogliamo cambiare profondamente il sistema.

Fonte: italiachecambia

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