Mussari e Vigni
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Mps, colpo di scena: la Cassazione respinge il ricorso dell’accusa e conferma l’assoluzione di Mussari e Vigni

La Corte di Cassazione respinge come «inammissibile» il ricorso della procura generale contro le assoluzioni in appello degli ex vertici di Mps e delle banche estere Nomura e Deutsche Bank sui cosiddetti «derivati» Santorini e Alexandria e conferma la sentenza di secondo grado. 

I legali: si chiude un processo che non avrebbe mai dovuto iniziare, ma Mussari ha perso tutto. Il titolo vola in borsa, +5,7%. Gli effetti per la banca, che il Tesoro sta per mettere in vendita | Mps, chi ha sbagliato? Un intrigo internazionale nella sentenza che assolve Mussari & compagni

Dieci anni di inchieste, uno scandalo finanziario planetario, danni enormi alla reputazione dell’Italia in una fase delicata come la crisi del debito sovrano.

Persino un morto, David Rossi, con relativo mistero sulle cause del decesso (suidicio o omicidio?).

Nel caso Mps è successo di tutto.

E ora arriva anche il colpo di scena finale.

Tutti assolti, con formula piena, con la Cassazione che, respingendo il ricorso dell’accusa come «inammissibile» su richiesta della stessa procura presso la Cassazione, mette la pietra tombale su un’inchiesta «che non avrebbe mai dovuto iniziare», come dicono i legali dell’imputato numero uno, l’ex presidente Giuseppe Mussari.

Così mercoledì 11 nell’unica udienza davanti ai giudici della Corte Suprema subito dopo le 17 hanno mandato definitivamente assolti tutti gli imputati, a cominciare dagli ex vertici storici Giuseppe Mussari e Antonio Vigni. 

Il 6 maggio 2022 la corte d’appello di Milano aveva ribaltato le condanne di primo grado e aveva assolto «perché il fatto non sussiste» gli ex vertici Giuseppe Mussari e Antonio Vigni e le banche estere Deutsche Bank e Nomura per le vicende dei cosiddetti «derivati» Alexandria e Santorini, che invece per i giudici non erano tali ma normali contratti di finanziamento, e per le operazioni minori Chianti Classico e Fresh, effettuate da Banca Mps tra il 2008 e il 2012. 

L’effetto sul titolo: calano i rischi per le cause legali

Immediato l’effetto sul titolo, schizzato già in corso di seduta e terminato in rialzo del +5,7% a 2,6 euro. 

Questo perché ci sono 1,9 miliardi di euro di richieste di risarcimento danni legate ai bilanci 2008-2011 (quelli di Mussari e Vigni) e 2014-2015 (quelli dei vertici successivi, Alessandro Profumo e Fabrizio Viola), e altri 2,2 miliardi di richieste extragiudiziali, che ora appaiono sempre meno probabili.

Meno rischi legali significano più capitale per la banca, che nel frattempo si avvia a essere messa in vendita dal Tesoro, dopo il salvataggio del 2017 con una «ricapitalizzazione precauzionale» e 5,1 miliardi di soldi pubblici.

Una crisi cominciata a fine 2012 e aggravatasi proprio con le inchieste giudiziarie su Siena.

La mossa della procuratrice generale della Cassazione

La procuratrice generale della Cassazione, Francesca Loy, nel corso dell’udienza della mattina aveva richiesto di rigettare ricorso perché «inammissibile» in quanto «generico», di quindi di confermare le assoluzioni. 

«La Corte di Appello ha motivato punto per punto la sua decisione mentre la ricostruzione del tribunale è stata puntualmente smentita dalla Corte di merito. Inoltre, essendo venuto meno il ricorso della Consob, ritengo inammissibile il ricorso della Procura generale», aveva detto la pg di Cassazione secondo quanto risulta a MF-Milano Finanza

Anche la Consob aveva ritirato il proprio ricorso contro la sentenza di appello, dopo un accordo transattivo con la banca giapponese Nomura. 

I commenti soddisfatti dei legali delle difese

«Dopo la fine del primo processo Mps, relativo all’ostacolo a Banca d’Italia per il presunto occultamento del mandate agreement dell’operazione Alexandria, conclusosi con l’assoluzione per l’insussistenza del fatto, il processo per le presunte falsità del bilancio Mps e le presunte turbative di mercato – che non avrebbe mai dovuto cominciare – si è finalmente concluso, dopo una lunga, tormentosa, angosciosa vicissitudine processuale, là dove meritava di finire: nel nulla», hanno dichiarato in una nota i legali dell’ex presidente del Montepaschi Tullio Padovani, Fabio Pisillo e Francesco Marenghi.

«Giustizia è fatta, ma Giuseppe Mussari non è più quel che era quando questa vicenda è iniziata, e nessuno gli restituirà nulla». 

L’avvocato Giuseppe Iannaccone, che difende gli ex manager di Deutsche Bank, ha dichiarato:

«Il Paese ci ha insegnato che la giustizia arriva sempre, forse un po’ in ritardo, ma sempre. Questo è il bello del nostro sistema giudiziario».

«Siamo soddisfatti della decisione della Suprema Corte», commenta Deusche Bank in una nota.

«Abbiamo sempre creduto fermamente nell’innocenza delle persone della Banca coinvolte nel procedimento, nonché della stessa Deutsche Bank, rispetto alle accuse mosse.

Siamo lieti che tutti siano stati pienamente assolti e che la sentenza della Corte di Cassazione abbia posto fine a questo lungo procedimento».

La riscrittura della storia recente di Mps

La decisione della Suprema mette fine a una vicenda giudiziaria che si trascina da oltre un decennio.

Un anno e mezzo fa la seconda sezione della Corte d’appello di Milano aveva ribaltato le decisioni dei giudici di primo grado, assolvendo l’ex presidente di Mps Mussari, l’ex direttore generale Antonio Vigni, – condannati a più di sei anni di carcere nel primo giudizio – gli ex top manager Gian Luca Baldassarri, Daniele Pirondini e Marco Di Santo, nonché le banche estere Deutsche Bank con gli ex manager Ivor Scott Dunbar, Michele Faissola, Michele Foresti, Dario Schiraldi, Matteo Angelo Vaghi e Marco Veroni, e Nomura con gli ex banker Sadeq Sayeed e Raffaele Ricci.

Le accuse erano di falso in bilancio, aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, a vario titolo.

Le motivazioni dell’assoluzione in appello

Secondo le motivazioni dei giudici di appello Angela Scalise (presidente), Libera Rinaldi e Raffaella Zappatini (a latere),

«la contabilizzazione a saldi aperti attuata da BMps con riguardo alle operazioni Alexandria e Santorini non ha violato alcun “criterio di valutazione normativamente fissato” (come aveva sostenuto la sentenza di primo grado, ndr) ma, all’opposto, si è uniformata ai “criteri generalmente accettati”» sul mercato e dai principi contabili internazionali.

Anche Bankitalia, nel valutarle, avrebbe commesso «grossolanità e approssimazione». 

La sentenza di appello evidenziava fra le altre cose, che «Santorini era un prodotto in vetrina come tanti, in serie», e non un prodotto «sartoriale» preparato per occultare i bilanci.

Questo e altro – sottolineavano i giudici nelle motivazioni –  è emerso in particolare dai documenti nuovi prodotti dalla difesa dell’ex banker di Deutsche Bank Marco Veroni, che sono stati ritenuti «in alcuni punti essenziali ai fini della decisione».

L’esito dei processi a Mussari e Vigni

L’esito del processo contro Mussari e Vigni ora può essere di aiuto ad Alessandro Profumo e Fabrizio Viola, i vertici arrivati nel 2013 a Siena per sistemare la banca e anch’essi condannati in primo grado per la contabilizzazione delle operazioni Santorini e Alexandria.

Profumo e Viola sono adesso in appello: il processo comincerà a fine ottobre.

Resta comunque ancora in piedi l’inchiesta sui crediti deteriorati, sempre a Milano, attualmente in udienza preliminare. 

Mussari e Vigni erano già stati assolti nel 2022 con formula piena anche in un altro filone dell’inchiesta relativo al presunto occultamento di un documento «segreto», il «mandate agreement» relativo all’operazione Nomura.


Le conseguenze sulla banca attuale

A beneficiare dell’esito del processo sarebbe anche alla stessa banca senese, che ha accantonato centinaia di milioni di euro per eventuali ristori dei danni agli ex azionisti. 

Che ora potrebbero essere liberati.

La decisione può essere rilevante anche per il Tesoro, che sta per avviare l’iter della privatizzazione con la cessione del suo 64%.

La banca era stata salvata dallo Stato nel 2017 in una «ricapitalizzazione precauzionale» dopo che non era riuscita a centrare un aumento di capitale da 5 miliardi di euro, necessario per ripianare le perdite legate alla cessione di oltre 40 miliardi di euro di crediti deteriorati. 

Dalla cui denuncia partì tutto.

Fonte: milanofinanza

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