Obbligo vaccini Covid: la Consulta ha tradito lo spirito dei Padri Costituenti
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Una lettura personale e approfondita delle sentenze della Corte Costituzionale sulla legittimità dell’obbligo vaccinale antiCovid e sulla realtà sovranazionale in cui si collocano

Perplessità sulle sentenze della Corte Costituzionale n. 14 e 15/2023

Attraverso questo scritto si fornisce una personale lettura delle recenti sentenze della Corte Costituzionale che hanno riconosciuto la legittimità della normativa sull’imposizione della vaccinazione anticovid, contestualizzandola nel momento storico del tutto peculiare che stiamo vivendo.

La prima perplessità sollevata dalle sentenze riguarda l’indipendenza della Corte, evidenziando come il sistema di nomina dei suoi componenti (espressi per un terzo dal Parlamento, per un terzo dal Presidente della Repubblica e per un terzo dalle magistrature superiori ordinarie e amministrative) rifletta anche su tale organismo la grave crisi democratica in cui versa la politica, a livello sia interno che internazionale.

A tal proposito, sul piano nazionale, si rammenta come la legge elettorale consenta di votare non tanto le persone quanto i partiti, i quali per anni hanno fatto ricorso a governi “tecnici” retti da non eletti per adottare scelte politiche su cui non vi è stato alcun consenso popolare e su cui, perlopiù, non è nemmeno consentito il dibattito, visto il ricorso al decreto-legge e alla fiducia, con buona pace della separazione dei poteri.

A livello sovranazionale, invece, l’art. 11 Cost. prevede che la Repubblica consenta, a condizioni di parità con altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad assicurare la pace e la giustizia tra le Nazioni, e ci si chiede se ad oggi queste finalità siano rispettate, visto che, ad esempio, nonostante la stessa norma affermi che “l’Italia ripudia la guerra”, siamo chiamati a concorrere con la NATO e l’Unione europea al finanziamento di Paesi in guerra estranei all’alleanza, rifiutando possibili trattative di pace.

Con riferimento alla composizione del collegio decidente, si rileva innanzitutto che i giudici dovrebbero dare garanzie anche apparenti di indipendenza e imparzialità per cui, quando vi siano ragioni di opportunità, gli stessi dovrebbero astenersi dal partecipare alle decisioni e dovrebbero poter essere ricusati.

Nel caso specifico, abbiamo invece appreso che per la Corte Costituzionale questo principio non vale. I difensori vi si erano infatti appellati chiedendo l’astensione di almeno uno dei giudici della Corte, il dott. Marco d’ Alberti, il quale fino al giorno prima era stato consulente giuridico dell’ex Presidente del Consiglio Mario Draghi, ma la risposta è stata che in base al regolamento interno i motivi ordinari di astensione e ricusazione non hanno rilevanza per quest’organo posto al vertice del sistema, che dovrebbe adottare le decisioni più delicate da cui dipende la salvaguardia e il destino della nostra Repubblica, così come è stata creata e pensata al momento della sua nascita.

Occasione persa e tradimento dello spirito dei Padri Costituenti

Superando le riserve sull’indipendenza della Corte, le sentenze in commento hanno dimostrato lo scollamento rispetto ai principi che chi ha studiato e pratica il diritto da anni (come chi scrive) ha sempre ritenuto fondanti della nostra Repubblica.

È ferma opinione personale che la Corte, con queste decisioni, abbia perso un’importante occasione per riaffermare i pilastri su cui poggia il nostro ordinamento tradendo lo spirito che ha animato i Padri Costituenti per i quali, dopo la guerra e un regime totalitario, la nascente Repubblica doveva fondarsi sull’indiscutibile centralità della persona al fine di prevenire arbitri e sopraffazioni da parte di chiunque, compreso il potere costituito.

La Corte, invece, si è limitata ad un’applicazione formale delle norme richiamandosi alla giurisprudenza precedente nella misura in cui consentiva di avallare le scelte attuate dal legislatore, che poi, durante tutto il periodo della pandemia, è sostanzialmente coinciso con l’esecutivo, che ha fatto costante ricorso al decreto legge e alla equiparazione della normazione secondaria (circolari, decreti ministeriali e dpcm) a quella primaria, anche in materie (come quella in oggetto, ovvero la previsione di un trattamento sanitario obbligatorio) per cui vige la riserva di legge.

A tal proposito, va detto che il giudice del lavoro del Tribunale di Padova, con una seconda ordinanza di rimessione alla Corte, aveva sollevato proprio questo profilo di legittimità, laddove la trattazione della causa è stata fissata il 23 maggio c.a., mentre in sede di trattazione delle questioni risolte dalle sentenze 14 e 15 del 2023 veniva respinta la richiesta di rinvio dei difensori al fine di trattare unitariamente anche la seconda delle questioni poste dalla CGA Siciliana, in cui si approfondiva ancora di più il tema degli eventi avversi, calendarizzata il 4 aprile 2023.

Per il bilanciamento degli interessi in gioco di cui all’art. 32 Cost. – diritto alla salute individuale e interesse alla salute collettiva – la Corte ha perimetrato da subito il proprio compito: valutare se “il legislatore aveva fatto buon uso della discrezionalità a lui attribuita” verificando la non irragionevolezza della decisione attuata e la proporzionalità rispetto agli obiettivi da perseguire, indicando due direttrici principali nell’ambito delle quali la discrezionalità avrebbe dovuto muoversi: la valutazione della situazione di fatto della pandemia e l’adeguata considerazione delle risultanze scientifiche disponibili in merito all’efficacia e alla sicurezza dei vaccini.

Dunque, da un lato, la stessa ha parlato del “deflagrare di un’emergenza sanitaria dai tratti del tutto peculiari” sulla scia del “diritto emergenziale” già tracciata dalla sentenza 7045/2021 del Consiglio di Stato, il quale aveva addirittura ipotizzato l’inversione del principio di precauzione seguita da altra decisione del giugno 2022 del Tribunale di Roma, in cui si parlava di una “popolazione ammalata da curare per via di un virus ad alta capacità di contagio e di rilevante efficacia patogena”.

E dall’altro, ha affermato che le conoscenze medico-scientifiche (che ricorda essere transitorie) su cui fondare la valutazione di efficacia e sicurezza dei vaccini – dovevano rinvenirsi unicamente in quanto accertato dalle “Autorità preposte”, richiamandosi anche ad una “strategia unitaria invocata dalle Nazioni Unite, dall’OMS e dalla Commissione Europea”, a sua volta espressa “dalle scelte di altri Paesi i quali avevano pure adottato l’obbligo vaccinale”.

Su questo presupposto, la Corte si è fatta così portavoce di una serie di tesi enunciate dagli “organismi istituzionalmente preposti al settore” ovvero AIFA, ISS, varie articolazioni del Ministero della Salute ed EMA omettendo, come avevano già fatto le altre Istituzioni, di dare atto e tenere conto che nella società scientifica internazionale vi era un acceso dibattito documentato da studi, dati, ricerche ufficiali, addirittura basato su documenti delle stesse case produttrici che smentivano tali assunti ufficiali, instancabilmente sostenuti e divulgati dagli “esperti” del Comitato tecnico scientifico o dagli organi di comunicazione pubblici, i quali hanno sempre rifiutato il confronto continuamente richiesto dalla comunità scientifica e sociale.

Singolare che la Corte, a parole, abbia ammesso la transitorietà della Scienza, ma nei fatti abbia poi rifiutato la dialettica e il metodo scientifico conosciuto in Occidente da Galileo in poi e invocato dagli stessi difensori che non a caso hanno parlato di “scienza ufficiale”.

La stessa Corte ha infatti abbracciato le tesi e i dati (che pure abbiamo visto essere inaffidabili se si pensa ai dati sui contagi, ospedalizzazioni e morti per covid) diramati dall’Esecutivo attraverso i vari dipartimenti del Ministero della Salute, ovvero da “Autorità preposte” costituenti sue articolazioni che hanno promosso le scelte strategiche vaccinali (pensiamo a un Brusaferro, direttore dell’ISS e portavoce del CTS o all’AIFA che recepisce, senza manco avere la relativa documentazione, le valutazioni di EMA poste alla base dell’autorizzazione condizionata e delle autorizzazioni alle successive dosi, diretta da un Magrini, che per anni ha ricoperto ruoli nell’EMA e nell’OMS), di fatto sposando le tesi di una delle parti in causa (in questo caso lo Stato).

Così abdicando, con la rinuncia ad un’analisi critica e imparziale degli elementi ed argomentazioni a lei sottoposti, a quella posizione di terzietà che dovrebbe caratterizzare il potere giurisdizionale.

La Corte ha abdicato alla propria posizione di terzietà

Posizione di terzietà tanto più necessaria in quanto erano in gioco i diritti fondamentali di migliaia di persone quali la vita, l’integrità fisica, la dignità, il lavoro (che i Costituenti hanno posto a fondamento della Repubblica), la libertà di espressione del pensiero, la libertà di studio, di insegnamento e di ricerca, la socialità quale diritto primario dell’uomo come luogo e modo di espressione della personalità, senza considerare che l’integralismo propagandistico diffuso attraverso i mass media aveva creato una profonda frattura sociale.

Che la Corte sia stata ben lontana dall’incarnare il ruolo quasi sacrale a lei affidato di custode dei principi e valori espressi dalla nostra Carta fondamentale e persino dal comprendere la delicatezza e l’importanza estrema della questione a lei posta, si è percepito fin dall’inizio, ma la conferma è arrivata poi con la disamina delle motivazioni delle sentenze 14 e 15 del 2023 in cui, più che un’effettiva tutela dei principi costituzionali violati nella loro essenza più profonda, si è cercata la via per giustificare l’operato della politica sanitaria.

Incidendo le decisioni della Corte in modo così penetrante sui diritti fondamentali di un numero assai rilevante di cittadini ed essendosi l’obbligo vaccinale protratto per un anno e mezzo con le gravi conseguenze emerse nella pratica, si riteneva doveroso, da parte dei giudici costituzionali, prima di affermare la legittimità dello stesso e la primazia dell’interesse collettivo alla salute sul relativo diritto individuale, verificare con il massimo scrupolo possibile che per tutta la durata dell’obbligo i dubbi avanzati a livello scientifico e giuridico circa l’efficacia e la sicurezza dei trattamenti sanitari imposti fossero infondati, attraverso una disamina critica del materiale anche solo documentale depositato ed eventualmente anche facendo ricorso ai poteri istruttori di cui disponeva, al fine di fondare il giudizio su dati accertati e verificati nel contraddittorio da un organo super partes, come richiederebbe il sistema giurisdizionale di un Paese democratico.

La Corte ha invece rifiutato di approfondire se nella realtà dei fatti, alla luce del dibattito scientifico e dei dati emersi a livello empirico, l’utilizzo di questi contestati vaccini a mRNA fosse idoneo a tutelare la salute collettiva, affidandosi completamente alle valutazioni operate da quelle stesse Agenzie regolatorie (EMA ed AIFA) che li avevano approvati sul presupposto del bilancio positivo costi/benefici.

Il punto è che la Corte ha recepito come verità dogmatiche circostanze del tutto smentite dall’esperienza, da dati governativi di altri Paesi o da banche dati sempre ufficiali, da ricerche scientifiche pubblicate su riviste prestigiose o dagli stessi documenti o dichiarazioni dei produttori, ovvero comunque emersi (vedasi, solo esemplificativamente, tutti gli studi della Commissione medico scientifica indipendente reperibili sul sito CMSIndipendente.it).

In tal senso si legge nella sentenza che i vaccini Covid-19 non possono in alcun modo considerarsi sperimentali, che sono stati regolarmente immessi in commercio dopo aver completato l’iter per determinarne qualità, sicurezza ed efficacia attestando la superiorità dei benefici rispetto ai rischi, che nessuna delle fasi dello sviluppo pre-clinico e clinico sono state omesse, che il numero dei pazienti coinvolti negli studi è lo stesso di quello relativo a vaccini sviluppati con tempistiche standard in quanto è stato possibile affiancare temporalmente le diverse fasi di sviluppo clinico e arruolare negli studi di fase 3 un numero molto elevato di partecipanti (pag. 20-21 sent. n. 14).

La Corte ha mostrato perciò in modo palese la sua parzialità e omologazione ad un sistema che ha appoggiato senza il minimo tentennamento l’Agenda 2030, la quale, al punto 3, poneva già nel 2015 la vaccinazione universale come unica strada per raggiungere uno stato di salute e benessere per tutti (vedasi dettagliato approfondimento nel PDF dell’articolo integrale allegato, a pag. 4).

Al perseguimento di tale obiettivo e di quelli meglio delineati nell’articolo completo di cui consiglia la lettura sono orientate le politiche dell’OMS e dell’Unione europea nell’ambito di una strategia denominata “One Health”, per cui si rimanda non solo al regolamento UE 1043/2020 «relativo all’esecuzione di sperimentazioni cliniche con medicinali per uso umano contenente organismi geneticamente modificati o da essi costituiti e destinati alla cura o alla prevenzione delle malattie da Coronavirus (COVID-19) e relativo alla fornitura di tali medicinali», ma anche al regolamento UE 123/2022 «relativo ad un ruolo rafforzato dell’EMA nella preparazione alle crisi e nella loro gestione in relazione ai medicinali e ai dispositivi medici» ed ai più recenti regolamenti UE 2370/22, 2371/22 «relativo alle gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero» e 2372/2022 «relativo a un quadro di misure volte a garantire la fornitura di contromisure mediche di rilevanza per le crisi in caso di un’emergenza in caso di sanità pubblica a livello di Unione», all’art. 27 della legge n. 79 del 29 giugno 2022 di conversione del D.L. n. 36 di attuazione del PNRR (con cui è stato creato il “Sistema nazionale di prevenzione e salute dai rischi ambientali e climatici” -SNPS, una struttura incardinata presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri che, “con l’approccio One Health nella sua evoluzione in Planetary Health concorre al perseguimento di obiettivi di prevenzione primaria correlati in particolare alla promozione della salute e alla prevenzione e al controllo dei rischi sanitari associati direttamente o indirettamente a determinati rischi ambientali e climatici, anche derivanti da cambiamenti socioeconomici”), alle affermazioni di Klaus Schwab (vedasi approfondimento nel PDF) al G20 “se guardiamo a tutte le sfide possiamo parlare di crisi multiple: economiche, politiche, sociali, ecologiche, istituzionali, e in realtà quella che dobbiamo affrontare è una profonda ristrutturazione sistemica e strutturale del nostro mondo”, in altre parole, quello che nei suoi libri ha chiamato il “Great Reset” (per le ulteriori strutture europee create nella suddetta ottica vedasi articolo completo pag. 7).

In tale contesto, che le sentenze in commento fossero più volte ad assecondare le politiche del governo che a garantire l’effettiva tutela della salute dei cittadini emerge anche dalla motivazione del rigetto delle sollevate questioni dell’inadeguatezza del triage pre-vaccinale (nell’ambito del quale si indicava come opportuno anche un test sierologico), in un’ottica prudenziale e precauzionale, peraltro indicata nella sent. 370/90.

A tal proposito la Corte dapprima si è richiamata al fatto che “le principali Autorità Sanitarie in ambito internazionale, incluse OMS e CDC statunitensi, non raccomandano l’esecuzione di alcun test preliminare alle vaccinazioni per la prevenzione dell’infezione da Sars-Cov 2”, aggiungendo che “il medico di medicina generale non assolve un ruolo primario nella valutazione dell’eleggibilità di un assistito a una vaccinazione anche rispetto a quelle previste dal piano nazionale di prevenzione, competendo questa valutazione ai medici vaccinatori all’uopo adeguatamente formati”, sostenendo la sufficienza dell’anamnesi prevaccinale quale “pratica standardizzata secondo un consolidato protocollo”, e questo nonostante la Procura siracusana avesse riconosciuto che il militare Paternò era deceduto proprio a causa di un eccesso di reazione anticorpale dovuta alla somministrazione del vaccino quando aveva già contratto il Covid.

Nell’impulso di giustificare tutto, la Corte arriva ad affermare che non servono cautele preventive e, per un dovere di solidarietà sociale, pure espresso dalla Costituzione all’art. 2, i cittadini devono accettare il rischio di eventi avversi anche gravi, a fronte del quale è valutato sufficiente l’indennizzo previsto. Trattasi della stessa fredda indifferenza con cui la Corte ha rigettato la prospettata alternativa, per i sanitari, di far ricorso ai tamponi, perché ritenuta troppo onerosa per il SSN, come peraltro ulteriormente significativo della scarsa considerazione nei confronti dei cittadini si ritiene il non aver minimamente menzionato la circostanza che i cd. “vaccini” anticovid sono in realtà prodotti genici del tutto innovativi e autorizzati in via condizionata, si ritiene impropriamente alle stesse condizioni di un vaccino tradizionale, essendo molto più affini ad un farmaco (sul punto vedasi il lungo articolo del farmacologo prof. Cosentino: “Capire la farmacologia dei vaccini Covid-19 a mRNA: stiamo giocando a dadi con la spike?” pubblicato su International Journal of Molecular Science con 89 articoli scientifici recenti in bibliografia).

Analogamente, la Corte non ha valutato il fatto che la scelta di considerare queste terapie come “vaccini”, come ha consentito a questi prodotti di bypassare una serie di studi preliminari (tra cui farmacocinetica e farmacodinamica, genotossicità e cancerogenicità), ha anche determinato conseguenze non indifferenti nel riconoscimento della correlazione tra eventi avversi e inoculo, altamente sottostimati – quelli riconosciuti da AIFA – se si considerano le perizie svolte (troppo poche), le numerose osservazioni cliniche e gli studi pubblicati da scienziati indipendenti sulle patologie riscontrate nei soggetti che le hanno denunciate come conseguenza della vaccinazione ((su questo vedasi l’articolo completo in PDF a pag. 9)

Mancanza di rispetto per la dignità umana ex art. 32 Cost.

Altro aspetto che colpisce di queste sentenze è la mancanza di rispetto per la dignità umana e il distacco emotivo con cui vengono costruite le giustificazioni logiche alla legittimità della norma impugnata, basate su ragionamenti ed affermazioni del tutto astratti e autoreferenziali, assai lontani dalla realtà dei fatti e dalla empatia solidaristica verso tutti coloro che gli effetti di quella norma hanno patito, trovandosi la vita sconvolta a causa dei danni riportati fino al punto, in molti casi, da perderla del tutto.

In questo senso si evidenzia che la Corte non ha fatto alcun cenno all’ultimo comma dell’art. 32 della Costituzione, in cui si dice espressamente, a proposito di trattamenti sanitari obbligatori, che “la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”, guardandosi bene dal ritenere che ciò si verifichi nel caso di imposizione di un trattamento sanitario potenzialmente capace di provocare la morte o l’invalidità permanente, interpretazione imposta dalle Carte internazionali sui diritti umani e sulle sperimentazioni nel momento in cui è stata segnalata alle banche dati competenti una casistica non indifferente di eventi del genere come ritenuta conseguenza dell’inoculo (vedasi segnalazioni da sistemi VAERS ed Eudravigilance).

Giocando con le parole e sempre decantando una piena efficienza del sistema di farmacovigilanza (messa in discussione ancor di più nella seconda ordinanza del CGA, la quale verrà esaminata il 4 aprile), la Corte con algido distacco e in controtendenza rispetto a sentenze più recenti, ha enunciato (richiamandosi alla sentenza 118/96) che “devono ritenersi leciti i trattamenti sanitari, e tra questi le vaccinazioni obbligatorie che al fine di tutelare la salute collettiva possono comportare il rischio di conseguenze indesiderate pregiudizievoli oltre il limite del normalmente tollerabile”, in quanto è proprio la sussistenza del rischio a giustificare il previsto indennizzo.

Si rammenta che tale pronuncia 118/1996 richiamata dalla Corte nella sentenza 14/2023 – decidendo sul riconoscimento dell’indennizzo in caso di manifestazione dell’infezione della poliomielite nonostante la vaccinazione obbligatoria – affermava che “la legge in tema di obbligo sanitario non può in alcun modo violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”, e affermava altresì che per un trattamento obbligatorio si debbano prevedere “tutte le cautele preventive possibili” per limitare al massimo i casi di danneggiamento alla salute individuale (cautele ritenute invece non necessarie dalle sentenze del 2023 in commento).

La stessa sentenza 118/1996, commentando la 370/90, proseguiva affermando: “in nome del dovere di solidarietà verso gli altri è possibile che chi ha da essere sottoposto al trattamento sanitario sia privato della facoltà di decidere liberamente. Ma nessuno può essere semplicemente chiamato a sacrificare la propria salute a quella degli altri, fossero pure tutti gli altri”. Introducendo così il concetto di ristoro necessario previsto dall’indennizzo.

A parte il fatto che non si concorda con l’affermazione del principio generale del ristoro economico come equo (e sufficiente) contemperamento tra l’interesse collettivo alla salute pubblica e il rischio, sia pure “rarissimo”, di danno irreversibile, in quanto si ritiene che in base ai principi fondanti del nostro ordinamento e alle carte internazionali dei diritti umani, ovvero al limite costituzionale del rispetto della persona umana, nessuno possa essere obbligato a mettere a repentaglio la propria vita, nemmeno per l’interesse collettivo, al contempo si reputa impossibile non cogliere come le affermazioni tratte da quella sentenza, estrapolate dal contesto specifico (in cui il danno è relativo alla contrazione dell’infezione che si voleva scongiurare con la vaccinazione), mal si attaglino alla situazione creatasi con le vaccinazioni anticovid-19, dove la prevenzione dall’infezione (e quindi la tutela della salute pubblica), lungi dall’essere certa salvo rarissime eccezioni, non è nemmeno stata studiata (così la direttrice commerciale di Pfizer Janine Small al Parlamento Europeo).

Alla luce di ciò, la sentenza n. 14/23 cade in contraddizione con un’affermazione di principio dalla stessa espressa nel punto in cui si legge che “questa Corte, nell’esaminare le leggi impositive di obblighi vaccinali, si è sempre attenuta ai dati scientifici relativi alla sicurezza del vaccino rispetto ai quali non conta in sé l’omogeneità della tipologia di eventi avversi quanto piuttosto l’incidenza a livello generale del loro manifestarsi anche in relazione alla loro gravità”.

Sconcerta che la Corte, che pure parla di “scelte tragiche”, abbia ritenuto sufficiente, per non mettere in discussione l’asserito rapporto favorevole rischi/benefici nelle vaccinazioni anticovid, richiamarsi a quanto si legge sui rapporti Aifa in cui si dichiara, in totale sconnessione con i dati fattuali e clinici emersi in tutto il mondo, che “la maggior parte delle reazioni avverse ai vaccini sono non gravi e con esito in risoluzione completa” e che “le reazioni avverse gravi hanno una frequenza da rara a molto rara e non configurano un rischio tale da superare i benefici della vaccinazione” e infine che “non è stato osservato alcun eccesso di decessi a seguito di vaccinazione” in quanto “il numero di casi in cui la vaccinazione può aver contribuito all’esito fatale dell’evento avverso è estremamente esiguo e comunque non tale da inficiare il beneficio di tali medicinali”.

Per quanto riguarda la sentenza n. 15/2023, si ritiene che anche questa abbia affrontato in modo estremamente semplicistico le questioni relative alla legittimità della sospensione dei lavoratori che hanno rifiutato la vaccinazione e della non ammissione, per gli stessi, del repechage e dell’assegno di mantenimento. Infatti – dopo aver ribadito che “è ormai evidente come la vaccinazione costituisca un’arma imprescindibile nella lotta alla pandemia, configurandosi come un irrinunciabile opportunità di protezione individuale e collettiva” e discettato circa la valenza multipla della vaccinazione degli operatori sanitari, la Corte liquidava i temi sopra esposti asserendo che, siccome la vaccinazione era stata elevata dalla legge a requisito essenziale per l’esercizio della professione sanitaria, ritenuta la condizione di non vaccinato fattore di rischio per la tutela della salute pubblica, si è considerata la mancata sottoposizione alla stessa come una causa di impossibilità per il dipendente di svolgere attività lavorativa. E siccome questa situazione era stata volontariamente determinata, in assenza della prestazione si è ritenuto equo non porre a carico del datore di lavoro il pagamento di un corrispettivo, così come si è ritenuto eccessivamente penalizzante per lo stesso pretendere che trovasse al lavoratore che si era sottratto all’obbligo una mansione non a contatto con gli utenti.

Sulla base delle stesse argomentazioni si è poi valutata la scelta legislativa non contraria ai principi di uguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità anche in merito alla mancata corresponsione dell’assegno di mantenimento diversamente da quanto avveniva, ad esempio, per i soggetti sottoposti a procedimenti penali e disciplinari, laddove la Corte osservava che la situazione era differente poiché chi aveva scelto di non vaccinarsi avrebbe sempre potuto modificare la propria posizione adottando una scelta diversa, senza capire che chi rifiutava la vaccinazione non lo faceva per scarsa coscienza civica ma perchè, a ragion veduta, non si fidava di queste terapie sperimentate direttamente sulla popolazione.

Con tale approccio la Corte ha di fatto mostrato la totale assenza di sensibilità verso soggetti a cui si stava chiedendo di mettere a rischio la propria salute anche in maniera irreversibile in nome di un vantaggio per sé stessi e per la collettività del tutto discutibile e aleatorio. Nei loro confronti è stato invece posto in essere un vero e proprio ricatto, con la minaccia di privare chi non si fosse sottoposto alla richiesta vaccinazione, della possibilità di lavorare e provvedere alla sussistenza personale e familiare, spesso a prescindere dall’effettivo contatto con altri (si pensi agli psicologi, preclusi dal lavorare anche online), e quindi dal presunto pericolo di essere veicoli di contagio.

Invisibili: le istituzioni devono riconoscerli e la magistratura fare luce

Venendo infine ai danneggiati da vaccino, rappresentati da quelle miriadi di persone che vagano da una struttura sanitaria all’altra senza venire riconosciuti e curati adeguatamente, spesso anzi trattati come dei visionari, depressi e ansiosi, liquidati con prescrizioni di psicofarmaci (grazie anche alla nuova “patologia da ansia di immunizzazione” introdotta ad hoc nel 2019 nel Manuale OMS per la valutazione della causalità di un evento avverso a seguito di immunizzazione), in molti casi gli stessi hanno trovato conforto solo in associazioni e comitati (tra cui si sono distinti il Comitato Ascoltami, il Comitato Fortitudo, il Filo di Arianna, Danni Collaterali, per menzionarne alcuni) tutti composti da volontari, i quali hanno fornito quell’assistenza che sarebbe spettata allo Stato. Ad essi si sommano i numerosissimi casi di soggetti sani fino a prima dell’inoculo deceduti improvvisamente, addirittura nel sonno, le cui foto vengono portate nei cortei e che compaiono tutti i santi giorni sulle pagine dei social o sui giornali locali, mai nazionali e mai in televisione salvo qualche rara eccezione (sulle politiche contro la “disinformazione” vedasi l’articolo completo in PDF a pag. 8); si tratta di morti su cui non si indaga a sufficienza e quando lo si fa – perlopiù col supporto di legali nominati dai familiari che rivendicano il diritto di conoscere le cause di morte del loro caro – non sempre l’autopsia e/o il riscontro diagnostico viene fatto con la competenza e lo scrupolo necessario a garantire un risultato veritiero e ineccepibile, atteso che la ricerca della spike e l’individuazione di elementi a riscontro dell’eventuale correlazione con l’inoculo richiedono una serie di accorgimenti (vedasi l’articolo completo pag. 13).

Non si può tacere, invece, che lo Stato in ogni occasione, abbia fatto di tutto per ignorare l’esistenza di queste persone, divenuti “Invisibili” (richiamando il titolo di un noto docufilm sul fenomeno degli eventi avversi censurato in molte parti di Italia) con le loro strazianti testimonianze, sminuite e negate dalle Istituzioni sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Quel che ci si auspica è che sempre più esseri umani, cittadini e soprattutto componenti delle Istituzioni a tutti i livelli, magistratura in testa, riescano ad abbandonare i pregiudizi e ad approfondire con lucidità, capacità di discernimento, coscienza del loro ruolo e dei principi che sulla carta ancora sono alla base della comunità umana e della nostra Costituzione, ogni aspetto di questa realtà così complessa e inquietante, facendo luce sugli scenari che si apriranno se si continua ad ignorare quanto sta accadendo e riportando nei fatti al centro della nostra società il rispetto per la persona e la sua libertà, la democrazia, la trasparenza e l’umanità.

Alessandra Chiavegatti, Magistrato di Cassazione

Di seguito il PDF integrale dell’articolo di Alessandra Chiavegatti

Fonte: Studio Cataldi

Obbligo vaccini Covid: la Consulta ha tradito lo spirito dei Padri Costituenti